IL PREMIO NOBEL AMARTYA SEN INCONTRA GLI IMPRENDITORI “STUDENTI” NELLA SEDE CONFARTIGIANATO
Un Premio Nobel per l’Economia nel 1998, 90 lauree ad honorem nel corso della sua carriera: basterebbero questi punti del curriculum del professor Amartya Sen a far impallidire chiunque. Oggi era in città, ospite di Confartigianato Vicenza; questa mattina ha incontrato i giornalisti, mentre nel pomeriggio ha tenuto una lectio magistralis alla Scuola di Politica ed Economia, la struttura formativa frequentata dagli imprenditori che intendono sviluppare conoscenze e competenze per contribuire al progresso sociale anche con ruoli di rappresentanza in ambiti associativi e istituzionali.
Ad aprire l’incontro pomeridiano è stato Giuseppe Sbalchiero, presidente di Confartigianato Veneto, mentre la presentazione dell’illustre ospite è stata di Pietro De Lotto, direttore di Confartigianato Vicenza. Dopo la “lezione” Agostino Bonomo, presidente provinciale, ha chiuso l’incontro.
«Cosa penso del vostro sistema di Pmi – ha detto -? Che ha un futuro promettente. Finora non è stato tenuto abbastanza in considerazione il modello italiano della Piccola e Media Impresa, che invece è molto buono e potrebbe essere applicato in altre realtà del mondo. Tale modello, infatti, riesce a combinare prestazioni di alta qualità, anche tecnologica, con una produzione realizzata a livello “umano”, in una dimensione cioè tutt’affatto diversa dal gigantismo disumanizzato di certe strutture aziendali. È un altro esempio di quello che intendo per “progresso costruttivo”, una lezione che andrebbe applicata su vasta scala».
Parlando di stato sociale, ha sottolineato che: «Se i costi del Welfare devono essere contenuti, l’operazione va condotta senza smantellarne il ruolo e l’idea positiva che c’è dietro, ovvero l’assicurare un sistema pubblico che garantisca la salute, la previdenza sociale, la scuola, il che equivale a garantire libertà. Dunque, mutando le circostanze, se ne ripensi la sostenibilità trovando soluzioni diverse, alternative, ma con provvedimenti di spirito costruttivo».
Sulle crisi finanziarie è stato lapidario: «Nel momento in cui i Paesi finiscono nelle mani delle banche, delle speculazioni finanziarie, o sono le agenzie di rating a decidere le sorti delle nazioni, c‘è di che essere preoccupati. Perciò, facciamo sempre attenzione a non confondere la crescita con lo sviluppo: non sono la stessa cosa. Ancora oggi i mercati finanziari dimostrano di non aver capito la “lezione” di quanto recentemente successo, anzi direi che si comportano male come già in passato. Basta vedere per esempio cosa accade quando sembra che governino il mondo, basta osservare quel che succede, appunto, sul mercato finanziario greco e in generale in Grecia, come operano le agenzie di rating quando devono dare un rating ai bond greci. Ancora una volta i mercati finanziari si comportano come se dovessero governare il mondo e come se nel passato avessero fatto bene il loro lavoro. La ripresa però, seppur lenta, c’è».
«L’Occidente resta la parte più ricca del pianeta, ma attualmente non è la più importante e cresce meno di Cina, India, Indonesia, Brasile. Però non dobbiamo considerare l’economia come una corsa di cavalli: più che la competizione globale, va ricercata una partnership globale».
«L’Occidente è al declino? No, sono gli equilibri mondiali a mutare. Anche mille anni fa l’Europa era arretrata rispetto ai livelli raggiunti dall’ingegneria cinese, o alle conquiste in campo matematico degli indiani o degli arabi. Poi è iniziato un altro ciclo, quello che in Europa è coinciso con il “progresso costruttivo” verso la democrazia, quello che nelle città italiane ha prodotto il Rinascimento. Adesso, quella spinta democratica si avverte nei Paesi dell’Africa del Nord e si sta facendo strada persino in Cina. Così vanno osservati i fenomeni, a livello globale, e l’economia non va disgiunta dalla democrazia. Oggi è proprio considerando le statistiche mondiali che vediamo come il divario tra i paesi ricchi e quelli poveri non è aumentato: basti pensare a Cina, India e Brasile che, pur avendo grandi sacche di povertà, sono Paesi in crescita e a ritmi elevati. Di più, pare che il divario sia diminuito con conseguente diminuzione delle disuguaglianze».
«A proposito delle disuguaglianze poi, in effetti esistono ancora ma il problema qui non è vedere se sono aumentate o diminuite ma piuttosto capire che impatto hanno e quanto siano grandi e difficili per la popolazione. In questo caso non parlo di disuguaglianze economiche pure e semplici, o di diversi ritmi di crescita dei paesi, ma di disuguaglianze in termini di situazione della criminalità, di fornitura dei servizi, del livello di istruzioni e così via. Ciò considerato esistono delle politiche di economia, anche sociale, che in questo senso potrebbero cambiare la situazione e livello globale. Se queste politiche saranno attuate su larga scala allora sarà possibile vedere anche una diminuzione delle disuguaglianze».