Referendum 22 ottobre 2017. Non è banale, non è privo di significati, né scontato
Il prossimo 22 ottobre i veneti sono chiamati ad un referendum con un quesito che, al di là della sua quasi disarmante semplicità, porta con sé storia, significati importanti e una sfida.
Una storia che, nel Veneto contemporaneo, comincia nel marzo 1992, quando il Consiglio Regionale approva una delibera legislativa dal titolo “Referendum consultivo per la presentazione di una proposta di legge statale per la modifica di disposizioni concernenti l’ordinamento delle Regioni”, dichiarata poco dopo illegittima dalla Corte Costituzionale. Il Consiglio Regionale e alcune forze politiche non si sono arrese e ci hanno riprovato più volte. Finché, nell’aprile 2015, la Corte Costituzionale afferma essere legittimo il Referendum consultivo sull’autonomia del Veneto. Va detto che, nel frattempo, la modifica costituzionale del 2001 aveva introdotto la possibilità che Stato e Regioni negozino forme di autonomia differenziata.
Perché mai votare, allora, per un negoziato che poteva essere avviato fin dal 2001?
Domanda legittima che inchioda però all’evidenza che i veneti, imprenditori o lavoratori che fossero, non hanno fin qui dato sufficiente supporto a questa possibilità. Sono mancati sia il “popolo” sia le sue rappresentanze. La stessa organizzazione che oggi presiedo, confesso, concentrata su problemi imminenti e di urgenza per la vita delle imprese, non ha dedicato al tema l’attenzione che meritava. Sappiamo, d’altra parte, che nel Veneto è diffuso, nonostante che continue disillusioni suggeriscano l’opposto, il detto eloquente “mi no vo a combatere”.
Il referendum è quindi una questione dei soli promotori e del Governatore Zaia?
Si può continuare a dire, come sento spesso, “facciano pure… tanto non cambierà niente”?
In queste ultime settimane Confartigianato Imprese Veneto, assieme ad altre associazioni, di imprese, professioni e lavoratori, ha voluto approfondire i significati del referendum, soprattutto in riferimento a cosa fare dopo che si sarà tenuto. Ragioni che per noi valgono e varranno a prescindere dall’esito e da chi governa o governerà, sia a Venezia che a Roma.
Li sintetizzo: basta confusione tra Stato e Regioni. Lo Stato, per essere ancora più forte, si limiti alle competenze nazionali senza intromettersi in questioni locali specie in materia di organizzazione amministrativa delle funzioni, consentendo, a chi è in grado di esercitarle, autonomie adeguate. Vorremmo uno Stato delle Autonomie che usi con più serietà e severità le risorse mutualistiche, evitando una deriva assistenzialistica che divora risorse preziose e si fa beffa del principio di responsabilità. Anzi, proponiamo che siano previsti interventi di solidarietà diretta nei quali chi paga può verificare progetti e raggiungimento effettivo di obbiettivi.
La trattativa che seguirà il referendum, a nostro parere, dovrà chiedere autonomia anche in fatto di giustizia di pace, istituto antico che si ispira all’autonomia delle comunità locali nell’amministrare la giustizia. Così come dovrà chiedere un rafforzamento nella disciplina concorrente in materia di attività produttive, artigianato, agricoltura, commercio nonostante siano, almeno sulla carta, già competenza esclusiva delle regioni. Confartigianato Imprese Veneto denuncia da anni i parametri nazionali che oggi definiscono l’impresa artigiana, divenuti vincoli antistorici. Le definizioni burocratiche bloccano lo sviluppo, creano recinti a favore di interessi di pochi a danno della realtà. Va dato spazio alla cultura della diversità, necessaria a valorizzare prodotti e servizi.
Il referendum è altresì un’occasione per mettere ordine, rafforzando le competenze amministrative della Regione, anche nella questione delle provincie e stabilire un obbligato riferimento di finanza per i comuni che oggi scendono a Roma per troppe cose.
Infine, il referendum dovrà farci riflettere su come essere più autorevoli a Roma, non lasciando agli altri le scelte nazionali e per far fronte comune con altre Regioni virtuose, anche contro il rischio di ulteriore “meridionalizzazione” dello Stato; mi riferisco, ad esempio, alla vicenda del supplente al liceo di Bassano che, come raccontato dalla stampa, una qual volta firmato l’accettazione di incarico chiede immediatamente aspettativa e, a fronte del fondatissimo diniego, manda un certificato di malattia che lascia gli allievi senza insegnante e apre interrogativi su eventuali complicità.
Il referendum, quindi, non è banale, ne privo di significati, né scontato.
I veneti hanno l’occasione per dare una spinta determinante al negoziato che tanti di noi auspicano, sostengono e mi auguro sosterranno.