I dati di Confartigianato Vicenza sui ristori previsti da Decreto.
Cavion: “Sono pochi e per pochi. Confermati i nostri dubbi sulla misura: i criteri di erogazione andavano studiati meglio così come l’entità delle risorse messe a disposizione”
Comunicato 58 – 2 aprile 2021
Da qualche giorno l’Agenzia delle Entrate ha aperto il canale telematico per fare la domanda del contributo a fondo perduto introdotto dal recente Decreto Sostegni a favore delle attività produttive. Una misura che prevede, come condizione per accedere al contributo, di aver avuto nell’anno 2020 un calo di fatturato medio mensile almeno pari al 30% rispetto al 2019.
Confartigianato Imprese Vicenza, che accompagna i soci anche nella compilazione e nell’invio dell’istanza per accedere ai fondi e che ha sempre monitorato la situazione dall’inizio della pandemia, ha elaborato con il proprio Ufficio Studi i dati in suo possesso per capire l’impatto dell’emergenza sanitaria nei vari settori e l’effettiva ricaduta del contributo a sostegno del mondo produttivo vicentino.
Sono state prese in considerazioni 2.175 imprese suddivise nei settori Alimentazione, Artigianato Artistico, Benessere, Casa, Comunicazione, Legno e Arredo, Mobilità, Moda, e Produzione. Complessivamente risulta che il 22,3% delle imprese hanno diritto ad accedere ai ristori; lasciando escluso un altro 45,8% che ha subito perdite senza arrivare però al 30% richiesto.
“Questo dato conferma le nostre impressioni – commenta il presidente di Confartigianato Imprese Vicenza, Gianluca Cavion-: per chi ha subito perdite consistenti i ristori proposti serviranno a malapena a coprire le spese. Nel contempo una grande fascia di aziende, che ha comunque subito un calo di fatturato, non può accedere ai ristori perché c’è un requisito unico. A nostro avviso questo non va bene perché, a parte una fetta di imprese che potrebbe aver registrato un trend negativo per motivi interni; di sicuro un calo, ad esempio, tra il 20 e 30% del fatturato è imputabile agli effetti della pandemia e dei relativi provvedimenti per arginare il contagio. Quindi i criteri di attribuzione del ristoro andavano studiati meglio magari con un sistema a scaglioni”.
Entrando nel dettaglio dei diversi sistemi produttivi, si nota che una parte consistente (48,5%) di ristoranti e bar , prodotti alimentari vari e pasticceri e gelatieri, non potranno chiedere i ristori. In questi casi si tratta di realtà come pizzerie d’asporto che hanno sempre potuto lavorare, o di attività che hanno pagato la ridotta mobilità delle persone e l’annullamento di cerimonie e ricorrenze, non raggiungendo però numeri e cifre del periodo pre pandemia. Anche molte delle imprese del settore benessere quali estetica, acconciatori, sono escluse dai ristori (rispettivamente il 71,4% e il 68,4%) per l’effetto di un continuo “stop and go” delle loro attività che si sono fermate nel primo lock down, nelle festività pasquali 2020/2021 e a Natale 2020; periodi di lavoro importanti ‘compensati in parte’ dai momenti di apertura anche se non in modo sufficiente per una tenuta economica delle attività.
Passando al sistema Legno e Arredo a pagare di più è proprio il settore dell’arredo (ammessi ai ristori il 28% delle imprese su un totale del 70% in perdita) flessione legata probabilmente ad un motivo logistico e di ‘prudenza’ dei clienti visto che chi deve montare i mobili necessariamente entra in casa e rimanervi per ore. Per i serramentisti la percentuale complessiva delle imprese in perdita è del 54,2%, un andamento leggermente migliore e legato agli incentivi per il rinnovamento delle abitazioni.
Numeri a picco, e prevedibili, per alcune attività che hanno pagato l’effetto Covid 19 anche quanto norme e decreti allentavano le restrizioni. Il 2020 è stato davvero un anno nero per trasporto persone, autobus operator e noleggio auto con conducente (83,3% in perdita di cui il 50% ristorabile) che hanno visto cancellare dai calendari gite, uscite, fiere, visite…; per i meccanici/carrozzieri (74% in perdita di cui il 15% ristorabile) che a causa degli spostamenti ridotti e dello smart working hanno avuto ben pochi clienti disponibili a pagare per interventi sugli autoveicoli differibili nel tempo; per la moda (79,5% in perdita di cui il 46,6% ristorabile) e l’artigianato artistico (77,6% perdita di cui il 49% ristorabile) considerato che di occasioni per acquisti di capi nuovi ce ne fossero davvero ben poche, così come l’acquisto di prodotti artigianali particolarmente apprezzati all’estero. Infine, il sistema comunicazione (66,7% in perdita di cui il 24,1% ristorabile) nel quale risultano particolarmente colpiti i fotografi la cui professione è legata in gran parte alle cerimonie.
“Ribadiamo che la misura dei ristori andava forse studiata meglio non stabilendo numeri e cifre ‘fisse’ ma creando un sistema che tenesse conto delle diverse realtà che compongono anche il mondo dell’artigianato – prosegue Cavion-. Dall’altro lato per operazioni come queste, pur nella consapevolezza che alcune attività già in crisi dal Covid hanno ricevuto il colpo di grazia, servono risorse adeguate e non poche. Con amarezza vediamo invece che ancora molti denari sono destinati a misure di tipo assistenzialistico. Penso al reddito di cittadinanza e a quanti ne hanno fatto un vero e proprio ‘reddito’, credo che parte di quei soldi sarebbero meglio investiti se destinati a chi può creare lavoro e dare dignità alle persone, ovvero le imprese. Per non parlare del cash back sulla quale come Confartigianato abbiamo già espresso il nostro più fermo dissenso”.
“Deve essere chiaro che le imprese sono l’asset della comunità, creano ben essere e sono il motore delle realtà in cui sono collocate. Solo offrendo alle imprese la possibilità di avere margini per crescere, investendo nel lavoro, nella formazione e nell’innovazione, si gettano infatti le basi per una fase espansiva trainata appunto dal loro valore aggiunto. Spero quindi che questa visione sia il passo successivo con atteggiamenti e misure concrete sin dalla predisposizione del prossimo Documento di Economia e Finanza”, conclude Cavion.