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IL “FENOMENO” DEL MADE IN ITALY E LE SUE POTENZIALITÀ TRA NUOVI MERCATI E VENTI PROTEZIONISTICI. UNA RICERCA DI PROMETEIA

Ai tempi della grande crisi globale, accanto a guerre valutarie e fiscali più o meno dichiarate, è in corso un conflitto a bassa intensità nei mercati emergenti per arginare la presenza dei prodotti italiani e non solo: si moltiplicano le barriere, tariffarie e regolamentari. Un fenomeno che riguarda molti settori. Se per gli alimentari i dazi più elevati si incontrano in India (34%), Vietnam (30,4) e Thailandia (26,5) anche il tessile, dall’abbigliamento a quello per la casa, le calzature e l’arredo non hanno vita facile nei mercati più ricchi di potenzialità.
Le barriere sono spesso non tariffarie, dunque subdole. Indonesia e Vietnam, per esempio, regolano l’importazione di abbigliamento e calzature consentendo di entrare solo da alcuni porti. L’America del Sud è la più restrittiva: con la moda e il Brasile trattiene le merci in dogana, per test a campione, fino a 90 giorni. Sui mobili, poi, le tariffe sono aumentate all’80% perché includono una miriade di imposte e tributi locali. L’Unione doganale tra Russia, Kazakhstan e Bielorussia ha tentato di alzare i dazi sulle scarpe ma la Ue è riuscita a respingere l’attacco.
Il quadro, complicato, emerge dal rapporto di Prometeia “Esportare la dolce vita”. Che si occupa di un segmento importante: il bello e ben fatto, cioè i beni di fascia medio-alta, escluso il lusso, dei settori alimentare, abbigliamento e tessile casa, calzature e arredamento.
Una fetta cospicua delle vendite all’estero del nostro manifatturiero, pari al 14 per cento (51 miliardi di euro). E, soprattutto, in forte ascesa nei Paesi emergenti. La conquista dell’esercito di nuovi consumatori che stanno nascendo e crescendo ai quattro angoli della Terra passa anche dal bello e ben fatto.
Lo studio prevede che in sei anni, dal 2011 al 2017, il numero di nuovi ricchi nel mondo aumenterà di 192 milioni. Intendendo, per ricchi, chi ha un reddito annuo di almeno 30mila euro (a prezzi del 2005 e a parità di potere di acquisto). La metà dei potenziali consumatori sarà concentrata nei centri urbani di tre Paesi: Cina, India e Brasile. Ma anche altri mercati, a noi più vicini, saranno attori importanti, dalla Russia alla Polonia, la Bulgaria, la Croazia; dalla Libia, alla Tunisia, alla Turchia.
Per l’export italiano è un’occasione da non perdere. Sempre che, nel difficile clima creato dalla crisi, non prevalgano tendenze protezionistiche finalizzate a politiche nazionali di stimolo della produzione domestica. Le importazioni di questo segmento nei trenta principali nuovi mercati cresceranno a 136 miliardi di euro dal 2012 al 2017.
Rispetto al 2011 è un tesoro di 44 miliardi in più, pari al 48% di incremento in sei anni. Un terzo della domanda aggiuntiva arriverà da Russia, Cina, Emirati. I russi da soli conteranno più di tutta l’America Latina. L’aumento più vistoso, in termini percentuali, sarà nell’Asia emergente: 66 per cento. E in India le importazioni di bello e ben fatto dovrebbero addirittura raddoppiare.
L’alimentare è in prima fila ad accaparrarsi i benestanti emergenti: le importazioni globali di questi Paesi, sempre dal 2011 al 2017, avranno un incremento del 35%, oltre il doppio di quello dei mercati maturi (16 per cento). Ancor più elevati gli aumenti di arredamento (72%), calzature (57%), abbigliamento e tessile casa (45 per cento). Il design italiano, nel settore dei mobili, rappresenta la punta di diamante del bello e ben fatto, coprendo la quota più importante della domanda di made in Italy nei trenta mercati analizzati. Non a caso i balzelli più fastidiosi, conditi da aiuti e sussidi all’industria locale, colpiscono gli arredi del Bel Paese.