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LA TRAGEDIA IN BANGLADESH. ETICHETTE BENETTON TRA LE MACERIE. L’AZIENDA: FORNITURA OCCASIONALE

Fascina: “Se non vogliamo essere complici, si impari ad acquistare solo merce 100% made in Italy”

“Delocalizzazione, sfruttamento, ricerca del prezzo a discapito della sicurezza, dell’ambiente e delle regole sociali. Purtroppo da decenni sono queste le parole d’ordine di chi produce moda nel nostro Paese (e non solo)”. Ad affermarlo Gianluca Fascina, Presidente Federazione Moda Confartigianato Imprese Veneto alla notizia dei nuovi elementi che chiamano in causa anche la Benetton tra i committenti delle imprese tessili del Bangladesh coinvolte nella nuova tragedia di Dacca. I grandi gruppi mondiali del faschon –Zara, H&M, Benetton, solo per citarne alcuni tra i più noti, fanno a gara a chi scoprire nuove aree geografiche ancora “produttivamente vergini” e popolazioni da sfruttare. Sono passati dall’Est Europa alla Cina, per poi andare in India, Pakistan, Corea … e Bangladesh portandosi dietro la faccia tosta di chi “chiede tutte le garanzie”, fa audit approfonditi con cui verifica condizioni ambientali e sociali delle società presso cui si rifornisce, etc etc. Ma poi, quando la tragedia accade, sono i primi a dissociarsi, a dire che non c’entrano affatto, a minimizzare i rapporti come occasionali”. “E’ ora di smetterla –denuncia Fascina-. C’è bisogno di una forte assunzione di responsabilità da parte di tutti. Dei media in primo luogo, che devono dare maggiore risalto ad incidenti come quello di Dacca per far capire ai consumatori cosa avviene nel mondo per colpa di “mandanti senza scrupoli”; delle aziende che devono iniziare a ridurre, solo un po’, i loro lauti guadagni per dare un maggiore valore al ruolo sociale che hanno nell’economia ed infine noi consumatori. Se non vogliamo essere complici, dobbiamo imparare a legge le etichette, ad essere informati e, come cittadini italiani, acquistare solo merce certificata 100% made in Italy”. “Noi della Confartigianato –conclude il Presidente- stiamo lavorando alacremente sul nostro marchio 100% made in Italy per rendere visibile il mondo che vi si cela dietro, fatto di devozione, creatività, maestria ed anche salubrità, sicurezza degli ambienti di lavoro, rispetto delle regole e dell’ambiente. Un progetto che passa anche attraverso il fare rete tra imprese non solo artigiane ma anche industriali. Una rete di imprese che vanno fiere della loro operato e che, a testa alta, possono affermare di non essere complici di 390 vittime (l’ultimo bollettino relativo all’incidente nel sito nel quartiere industriale di Savar), quasi 2.500 feriti, ed soprattutto dei disordini sociali come quelli che stanno accadendo in queste ore a Savar dove la polizia lancia lacrimogeni, proiettili in gomma e usa gli idranti per disperdere i manifestanti che chiedono la pena di morte per i proprietari dell’edificio e delle fabbriche. Anche loro vittime –forse un po’ meno innocenti- dei veri carnefici: quelli che, nelle stesse ore, dai loro dorati uffici si danno da fare per “rimediare” comunicativamente alla cattiva pubblicità. «Etichette di Benetton sono state ritrovate tra le macerie del Rana Plaza, l’edificio di otto piani crollato lo scorso 24 aprile a Savar, sobborgo di Dacca, in Bangladesh. Alcune t-shirt etichettate ‘United Colors of Benetton’ sono state fotografate dall’agenzia Afp sulla scena del disastro»: è quanto scrive l’ong Campagna Abiti Puliti, che a un comunicato stampa allega anche alcune foto in pdf di documenti contabili e di un capo d’abbigliamento in mezzo a delle macerie. «Inoltre – si legge nel comunicato – siamo in possesso di una copia di un ordine di acquisto da parte di Benetton per capi prodotti dalla New Wave, una delle fabbriche del Rana Plaza». L’associazione, che si occupa della difesa dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici nel settore tessile, chiede inoltre nella sua nota «a Benetton e a tutti i marchi italiani ed esteri coinvolti di assumersi le loro responsabilità». «Nessuna delle aziende coinvolte nel tragico incidente di Dacca è ad oggi un nostro fornitore. Ad una ricerca attenta abbiamo verificato che quantomeno un ordine in passato c’è stato, forse due: si tratta di una fornitura occasionale, one shot, e probabilmente in subfornitura come capita nel settore del tessile. Ma a fine marzo lo avevamo già eliminato dai nostri fornitori regolari per gli audit non convincenti che ci erano arrivati. Bisogna però precisare che questi audit non comprendono mai informazioni sulle strutture degli edifici»: è quanto viene spiegato all’agenzia Ansa da Luca Biondolillo di Benetton a proposito del coinvolgimento nel crollo dell’edificio di otto piani in Bangladesh. Benetton non smentisce le foto scattate in cui si vede tra le macerie un capo con evidente etichetta Benetton nè il foglio con l’ordine, ma sottolinea l’occasionalità della fornitura. «Benetton è in prima fila sia per gli audit approfonditi con cui verifica condizioni ambientali e sociali delle società presso cui si rifornisce sia per la sensibilità sull’ecocompatibile. Recentemente abbiamo aderito alla campagna Detox che prevede inquinamento a zero in venti anni», spiega Biondolillo. E questo, conclude, «senza volerci lavare le mani su quanto accaduto». (Ansa)

Dal sito del’Ong Campagna Abiti Puliti
Benetton si riforniva al Rana Plaza Abbiamo le prove Etichette di Benetton sono state ritrovate tra le macerie del Rana Plaza, l’edificio di otto piani crollato lo scorso 24 aprile a Savar, sobborgo di Dhaka in Bangladesh. Alcune tshirts etichettate “United color of Benetton” sono state fotografate dall’agenzia AFP sulla scena del disastro. L’azienda, che in un primo momento ha smentito di rifornirsi presso le fabbriche crollate, è chiamata ora a chiarire il suo coinvolgimento nella tragedia. La Campagna Abiti Puliti, inoltre, è in possesso di una copia di un ordine di acquisto da parte di Benetton per capi prodotti dalla New Wave, una delle fabbriche del Rana Plaza, che annovera sul suo sito web anche l’azienda italiana tra i suoi clienti. Chiediamo a Benetton, e a tutti i marchi italiani ed esteri coinvolti, di assumersi le responsabilità, in particolare:

  • entrando in contatto diretto con Abiti Puliti e i sindacati locali per fornire immediato supporto alle vittime della tragedia che hanno bisogno di cure, cibo e assistenza;
  • assumendo l’impegno a contribuire al fondo di risarcimento per le famiglie delle vittime e per i feriti secondo quanto sarà stabilito in funzione della perdita di reddito presente e futura
  • firmando il Bangladesh Fire and Building Safety Agreement, un programma specifico di azione che include ispezioni indipendenti negli edifici, formazione dei lavoratori in merito ai loro diritti, informazione pubblica e revisione strutturale delle norme di sicurezza per rimuovere alla radice le cause che rendono le fabbriche del paese insicure e rischiose per migliaia di lavoratori.