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CIG IN DEROGA. UNA ECATOMBE DI IMPRESE ED OCCUPATI SE NON CI FOSSE STATA

Sbalchiero: “Analisi Corte dei Conti miope e confutata dalla realtà. Serve invece una correzione alle regole”

Riportiamo per esteso la lettera al direttore del Corriere della Sera del Veneto dr. Russello del Presidente Sbalchiero pubbicata sabato 31 maggio scorso.

Altro che 9.800 imprese artigiane e 28.000 posti di lavoro in meno. Se negli ultimi anni fosse mancato il contributo della CIG in deroga, l’artigianato veneto avrebbe perduto molto di più. Non dico che i numeri si potrebbero raddoppiare ma quasi. Ed in particolare sarebbero scomparse molte di quelle imprese del manifatturiero veneto della moda della meccanica del legno che, lavorando in subfornitura, racchiudono la grande contraddizione di essere il futuro (ricercate per le straordinarie capacità produttive) ma con commesse sempre più esigue e mal pagate. Una contraddizione che le rende finanziariamente fragili e obbligate a conservare il patrimonio dei collaboratori a prescindere dalle ore lavorate. E’ per questo che contesto la recente analisi della Corte dei Conti sullo strumento (eccesso di spesa pubblica senza appropriate politiche attive del lavoro). Prive di strumenti tradizionali le imprese artigiane e le piccole imprese hanno infatti utilizzato la cassa in deroga adottando la strategia dell’ombrello che si apre solo se necessario. Ciò ha permesso di mantenere l’efficienza aziendale, preservando le professionalità anche durante i periodi di mancata produzione; periodi brevi, frazionati e mai prevedibili. Un mese di piogge inaspettate può portarsi via la struttura aziendale di una piccola impresa; con l’ombrello si sono salvate imprese e posti di lavoro. Per alcune l’ombrello non è bastato a far fronte alla crisi e agli alti oneri che in Italia gravano sul lavoro ed hanno chiuso, ma la maggior parte sopravvivono, pronte a confrontarsi nuovamente col mercato. Ma non basta: nell’artigianato veneto (ed in parte nel commercio) si è gestita, d’intesa con la Regione, una fase mista di ammortizzatori sociali, in cui prima dell’intervento della CIG in deroga si è utilizzato l’intervento concertato della “sospensione”: accordo aziendale per garantire ai lavoratori sospesi la DS (oggi ASPI) accanto ad una integrazione da parte della bilateralità. Dodici milioni e mezzo complessivamente erogati dalla bilateralità artigiana dal 2009 al 2013, che hanno permesso di risparmiare 77 milioni di euro di risorse Cig in deroga. Infine occorre ricordare che, proprio su richiesta della nostra federazione, la Regione ha disciplinato fin dal 2010 una restrizione dei criteri per la concessione della CIG in deroga: niente ammortizzatori alle imprese decotte, questa la parola d’ordine. Ci pare che l’obiettivo sia stato raggiunto, almeno nel Veneto. La realtà, secondo i dati forniti da Veneto Lavoro, non conferma le tesi della relazione della Corte dei Conti. Non vi è stato alcun parcheggio di lavoratori in attesa di un destino ineluttabile quale il licenziamento ma, al contrario, si sono sostenuti gli sforzi delle imprese per rimanere operative e pronte a rispondere a qualsiasi segnale di ripresa, dando loro la flessibilità necessaria e garantendo un reddito “minimo” ai loro lavoratori per brevi periodi. In ogni caso l’utilizzo della CIG in deroga (e di Ebav) ha fatto risparmiare altri e maggiori oneri allo Stato, quali le indennità varie erogate dall’INPS per molti mesi in caso di licenziamento. Una domanda sorge spontanea: visto che la risalita dalla crisi sarà ancora lunga, è realizzabile il tanto decantato modello di flexsecurity, secondo il quale le fermate brevi sono a carico delle imprese mentre per le fermate lunghe opera il licenziamento dei dipendenti? In altre parole è auspicabile un futuro senza ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro? Crediamo di no. Avremmo bisogno di un mercato del lavoro con disoccupazione frizionale, ridotta ai minimi termini ed un ruolo attivo dei centri per l’impiego. Condizioni oggi inesistenti. Inoltre le imprese dovrebbero farsi carico dei periodi di inattività, aumentando i costi aziendali e riducendo la produttività. Inaccettabile perché mette a rischio la sopravvivenza delle imprese. Più utile mantenere i vecchi strumenti come la CIG in deroga introducendo opportune modifiche su come limitare il periodo di utilizzo (dote massima fissata per singolo lavoratore) e separarla dalla mobilità in deroga (che dovrà diventare un assegno sociale e non più un ammortizzatore sociale); stabilire premialità per le imprese che utilizzano gli enti bilaterali prima di accedere alla cassa in deroga. Sulla mancanza di fondi poi, propongo di sfoltire l’impenetrabile ginepraio delle tipologie di rapporto di lavoro e relative agevolazioni per l’assunzione, oramai diventato ingestibile per gli stessi addetti ai lavori, mantenendo solo le fiscalizzazioni per l’assunzione dei giovani tramite l’apprendistato e un premio alle aziende che stabilizzano rapporti di lavoro temporanei o precari. In conclusione per la piccola impresa produttiva non serve creare un serbatoio di disoccupati per poi rioccuparli con politiche attive che non ci sono. Meglio un sistema che preveda una dote individuale di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro affiancata da un efficiente intervento della bilateralità. Le politiche attive si cerchi di farle ove possibile, con la “garanzia giovani” e l’apprendistato, favorendo la stabilizzazione dei rapporti con incentivi e una generale riduzione degli oneri sul lavoro e con la semplificazione di norme e burocrazia. Non diteci che anche questo è un libro dei sogni…