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Come è cambiato oggi il consumatore

In occasione del ciclo di incontri “Botteghe Orafe” è intervenuto il professor Gian Paolo Lazzer, partner di Strategy Innovation srl e professore di Sociologia dei Consumi all’Università Ca’ Foscari di Venezia.

A lui abbiamo rivolto alcune domande per capire meglio i “consumatori di oggi”, considerato che anche per molte imprese artigiane essi sono il naturale anello finale della loro catena di produzione. Ne è emerso un quadro interessante, che permette di comprendere meglio i confini in cui muoversi ma anche quali sono, oggi, le figure che possono supportare le aziende nella conoscenza dei clienti. E allora, le prime domande sono: Non esiste più un unico consumatore, ma diversi tipi, con esigenze diverse: cosa ha influito maggiormente in tale trasformazione? Maggior disincanto sul messaggio che stimola l’acquisto? Maggiore offerta di prodotti in termini di qualità/prezzo/provenienza? Più consapevolezza sui temi ambiente/sostenibilità? Maggior disponibilità economica? Superamento di prodotti “status symbol” a favore di quelli “unici e su misura”? Le risposte partono da qui.

ECCO L’INTERVISTA

Iniziamo dicendo che non è mai esistito un “consumatore unico”. Sicuramente l’analisi dei consumi è più complessa oggi rispetto che al passato, perché la capacità di spesa non è più la sola variabile da considerare. Ora le forze in gioco sono molte di più. Ma la cosa più interessante è che queste forze possono essere in contrasto tra di loro, la società è liquida ed esprime pochi punti di riferimento, direbbe Bauman. Quindi vincono i brand che “mettono ordine”, quelli offrono un orizzonte di significato chiaro ai propri consumatori. Mi spiego meglio: il consumatore non è un essere razionale, bensì sociale. Per esempio, un atto di consumo è anche un atto politico e in molti casi un simbolo di appartenenza a una comunità. I prodotti e i servizi ad alto contenuto valoriale (non solo economico) hanno successo: ecco spiegato il favore verso i prodotti “sostenibili”.
Tornando alla domanda, possiamo dire che l’influenza maggiore sull’evoluzione dei consumi è dovuta al consumo stesso, che ha invaso altri ambiti della società diventando, in alcuni casi, la società stessa: religione, politica, salute e lavoro vi sembrano ambiti immuni alle dinamiche di consumo tradizionali? Mi viene da dire che il consumatore ha sostituito il cittadino (o viceversa). Per questo motivo serve un approccio diverso, che sappia includere nell’analisi variabili ben più complesse di quanto il marketing abbia considerato fino ad ora. È troppo comodo ragionare per “persone” che si muovono coerentemente, quando il mondo stesso nega questo modo di comportarsi.

Come può capire un’impresa qual è il suo consumatore tipo, e come può intercettarlo per promuovere i propri prodotti? Cosa avvicina e cosa allontana oggi il consumatore?

Riprendendo la prima domanda, la risposta è scontata, soprattutto per le imprese ad alto valore italiane: un’impresa deve avere l’ambizione di creare o per lo meno “formare” il proprio consumatore. Di nuovo, non pensiamo al consumatore come a un essere razionale che calcola, bensì a un soggetto che crede – nel senso profondo del termine, a un attore che ha bisogno di un sistema valoriale chiaro e che influenzi positivamente la sua routine. Per questo motivo poche aziende possono vincere da sole, c’è bisogno di allearsi e per rispondere a questo tipo di bisogni. Di nuovo, il credo della sostenibilità ha saputo unire filiere e interi settori. Cosa ci sarà dopo la sostenibilità? In cosa crederemo?

L’e-commerce come ha cambiato il modo di fare acquisti e come ha cambiato il modo di intercettare il pubblico da parte delle aziende?

È stata una delle grandi rivoluzioni degli ultimi vent’anni. L’asse del valore era in mano alla produzione, ora il rapporto di forza si è spostato verso la distribuzione, di cui l’online è un asset fondamentale. Ma non facciamoci abbagliare dalle sirene. È chiaro che l’online è fondamentale e non serve ribadirlo. La cosa interessante è guardare in direzione opposta e osservare come “un eccesso di online” abbia aperto, anzi riaperto, le porte del retail classico, sotto forme nuove. Proprio l’online sta facendo riscoprire l’importanza del territorio come veicolo di promozione.

Quali sono oggi le figure che studiano questi fenomeni e quali sono le professioni coinvolte su questi fronti all’interno delle aziende?

Credo che fino ad ora il marketing abbia semplificato la visione sul mercato, chiedendosi troppo spesso “quanto”. Usa i sondaggi per tutelarsi, più che per capire il mercato. Quante volte abbiamo sentito dire “i numeri parlano chiaro”? E allora perché continuiamo a sbagliare? La domanda giusta, invece, è più profonda e riguarda il “perché”. In azienda, quindi, servono più umanisti, proprio perché il consumatore non è un burattino programmato. I migliori interpreti dei consumi che conosco sono letterati, psicologi, storici, umanisti in generale, che si prendono la responsabilità delle loro analisi (i numeri sono uno strumento, non una garanzia).

Che tipo di consumatore si possono aspettare nel prossimo futuro le imprese? C’è il rischio che il mondo dei consumatori sia così frammentato e diversificato da richiedere una flessibilità (di creatività/produzione) alle aziende che magari non sono in grado di sostenere? 

La domanda di personalizzazione di prodotti e servizi è crescente, soprattutto in mercati maturi come quello della salute. Ma credo sia una spinta proveniente dalle aziende più che dai consumatori. L’evoluzione tecnologica permetterà alle imprese di aumentare il grado di personalizzazione dei loro prodotti e servizi, ma non credo sia questo il fattore che darà loro un vantaggio competitivo, soprattutto in comparti come quello orafo. Non lavoriamo solo sull’ampiezza dell’offerta, ma sulla profondità del significato, il senso. Il Made in Italy è profondità: guardiamo più all’arte e alla religione e meno agli istogrammi e al marketing classico.

Il Made in Italy rappresenta per il nostro Paese, e le nostre imprese, un indubbio vantaggio. Ma come sfruttare al meglio questo “marchio”?

Non userei il termine “sfruttare”, ma preservare e valorizzare. Non sfruttiamo il cavallo ma curiamolo al meglio, e ci porterà alla vittoria. Chiedo agli imprenditori quanto denaro e tempo stiano investendo nel loro territorio, quanto stiano cercando alleanze con altri imprenditori per raggiungere una vittoria comune. C’è bisogno di un patto. Lo sapete meglio di me, un gioiello non è un oggetto di consumo, bensì l’epifania di un patto. Se non curiamo le relazioni, non serviranno gioielli. Quali sono i gioielli del vostro territorio?