CINESI IN VENETO: UN “TESORETTO NASCOSTO” DA 113 MILIONI DI EURO
Contraffazione in Veneto circa 430 milioni, lo 0,3% del Pil regionale Rapporto «I conti che non tornano», una stima dell’universo sommerso cinese
Un tesoretto di 113 milioni di euro che manca all’appello della contabilità delle famiglie cinesi in Veneto. La cifra mette in luce una realtà economica nascosta se si pensa come, in Veneto, la contraffazione parli prevalentemente cinese (due/terzi dei prodotti sequestrati sono cinesi). Il dato emerge dal rapporto «I conti che non tornano. Un bilancio della presenza cinese in Veneto», curato dal Centro Studi di Unioncamere del Veneto e presentato stamattina presso la Camera di Commercio di Padova da Fernando Zilio, presidente di Unioncamere del Veneto, Elena Donazzan, assessore all’Istruzione, alla Formazione e al Lavoro della Regione Veneto, ed Antonio Selvatici, giornalista d’inchiesta autore de “Il libro nero della contraffazione”. La presentazione dello studio è stata preceduta da una visita dell’assessore Donazzan e del presidente Zilio al Centro Ingrosso Cina, in zona industriale a Padova. A livello regionale la comunità cinese sembrerebbe rappresentare più un beneficio che un costo. La bilancia economica mostra come le entrate pubbliche generate dai cinesi (tasse pagate, contributi previdenziali, Iva sui consumi, bolli auto) superino le uscite che lo Stato o gli Enti Locali mettono a disposizione della comunità cinese (spese per istruzione, sanità, previdenza, carceri, politiche di integrazione e di contrasto): 137 milioni di euro in termini di “entrate regolari”, 124 milioni1 di “uscite regolari” con un avanzo di quasi 13 milioni di euro. Ma i conti non tornano se all’analisi macro si affianca un’analisi micro, ossia familiare. Una famiglia cinese in media fa uscire dalle proprie tasche ogni anno (tra tasse, consumi e rimesse) quasi 32mila euro a fronte di entrate da lavoro “ufficiali” di poco meno di 18mila euro. Il disavanzo familiare è di quasi 14mila euro che, moltiplicato per il numero di famiglie cinesi in Veneto (9.500 con almeno un componente cinese), arriva a 113 milioni di euro. «Il sequestro operato dalla Guardia di Finanza nei giorni scorsi al Centro Ingrosso Cina nella zona industriale di Padova, pur nella sua enormità dal punto di vista numerico, rappresenta una goccia nel mare di illegalità che si è insediata in quell’area – denuncia Fernando Zilio, presidente Unioncamere del Veneto –. Per un capo di abbigliamento sequestrato, per un braccialetto pericoloso per la salute tolto alla disponibilità dei nostri bambini, per una luminaria non a norma potenzialmente in grado di esplodere anche nel bel mezzo della notte di Natale, vi sono miliardi di altri oggetti e prodotti (alimentari e medicinali compresi) che ogni giorno entrano nel nostro Paese e dall'”hub” della Zip partono per il mercato interno e anche estero. Questa vera e propria piovra tentacolare, che sta mettendo in seria difficoltà non solo il commercio legale ma anche la stessa economia del nostro Paese con miliardi di euro che vengono drenati dalla nostra comunità per alimentare quella della Repubblica Popolare, gode purtroppo di coperture che sono evidentemente politiche, economiche ma anche culturali. Politiche perché non si capisce come sia possibile che denunce costanti e servizi televisivi non riescano a produrre l’unica cosa che andrebbe fatta, ovvero la chiusura della “cittadella dell’illegalità”; economiche perché è evidente che dall’affitto dei locali alle difese d’ufficio di ciò che non può essere difeso, tutto determina un vantaggio economico per chi si presta; infine culturali perché comprare in quei locali che non hanno sicurezza, dove il lavoro nero è prassi, dove il termine tasse non viene nemmeno tradotto tanto è inutile farlo, significa danneggiare in primo luogo se stessi (rischio salute), in secondo i lavoratori di casa nostra (un acquisto, un posto di lavoro perso) ed infine il Paese che, poveri noi, assiste senza reagire alla sistematica e sfacciata violazione delle nostre – blande – norme e alla fuga di capitali in milioni di euro, mentre alle nostre imprese viene impedito di incassarne anche solo mille in contanti». Questo deficit fa spostare la bilancia economica a favore dei costi: gli “oneri regolari” e “sommersi” di cui beneficiano i cinesi superano di gran lunga i benefici che la comunità cinese apporta al Veneto. Esiste una realtà economica sommersa che sfugge alle rilevazioni contabili formali e che permette alle famiglie cinesi di spendere più di quanto “ufficialmente” guadagnano. Un tesoretto che non si vede ma esiste. Non si può escludere che una buona parte di queste risorse sia generata da attività illecite, di cui la contraffazione è uno degli elementi principali. In Veneto si stima in 430 milioni di euro il valore della contraffazione, quasi lo 0,3% del Pil regionale. Se questo volume di produzione venisse generato legalmente si potrebbero creare 10mila posti di lavoro regolari a tempo pieno.