Essere Genitori: virus, errori educativi e rimedi secondo Osvaldo Poli
Sempre molto apprezzato dal pubblico per la cifra ironica dei suoi interventi, è stato Osvaldo Poli il protagonista della seconda lezione alla Scuola per Genitori.
Mantovano,attivo nella consulenza e nella formazione dei genitori e della coppia, Poli collabora con diversi gruppi, istituzioni e riviste. Già ospite in passato della Scuola, Poli ha raccontato gli “errori educativi in buona fede” dei genitori strappando qualche sorriso, portando alcuni esempi “dal vero” e fornendo molto materiale su cui mamme e papà posso riflettere per crescere al meglio i “tatoni” di casa.
IL SUO INTERVENTO
Sunto della serata del 17 ottobre 2023
Errori educativi, ovvero i “virus”
Gli errori educativi si fanno in buona fede, ovvero senza saperlo né volerlo. Uno di questi, per esempio, è proteggere troppo il figlio: ma così non lo si fa crescere bene, cioè autonomo. Aiutarlo troppo nei compiti non è fare il suo bene. Tutti noi facciamo di questi errori con le migliori intenzioni del mondo, il problema è che sbagliamo la misura. Ed è proprio la misura il dato importante: né stare troppo addosso, né abbandonare. Per capire meglio perché commettiamo tali errori dobbiamo comprendere che il nostro sistema ha dei “virus” che taroccano il software di mamma e papà e lo mandano in corto circuito. Uno è la paura, un altro è l’apprensività: sono loro che agiscono sulle azioni dei genitori e le condizionano.
Quindi, il primo passo è capire cosa ci condiziona nel fare una cosa piuttosto che l’altra.
I virus colpiscono soprattutto le mamme, quindi mi rivolgo a loro quando dico che devono avere consapevolezza del perché fanno quel che fanno, devono dirsi la verità delle cose, che è la migliore medicina psicologica. Di fronte ai capricci del bambino a cui avete detto “no” all’ennesima richiesta d’acquisto di un giocattolino al supermercato, come state? Bene? Oppure iniziate a pensare “crederà che non gli voglia più bene, che siamo poveri, si sentirà inferiore, e poi anche lo sguardo della commessa…”. Alla fine cedete, e farete quello che non era il caso di fare: comperate il giocattolo.
La consapevolezza delle paure, invece, è quella che avrebbe fatto tenere fermo il “no”.
Poi c’è il virus del “poverino”, con la mamma che ha sempre lo sguardo su di lui. Pensiamo, poi, cosa accade nel cuore di una mamma divorziata. Il figlio del dolore è sempre il più amato, proprio perché tale, e con questi sentimenti non si è più liberi di fare quel che sarebbe giusto fare.
E in adolescenza? “Se sono dura – pensa la mamma – non mi perdonerà, non si sentirà capito, penserà che la nonna lo ami più di me!”. Così, per “scusarsi”, si arriva a fare delle cose che sarebbe meglio evitare. Ed è così che agiscono i virus: portano a fare scelte educative errate, perché nel cuore portiamo tutte le insicurezze che abbiamo subito e avuto da piccoli. Sono queste paure che ci guidano spesso come genitori, più che l’interesse educativo verso i figli.
Gli “antivirus”
Fortunatamente, spesso i virus degli altri si vedono molto meglio dei nostri. Mai capitato di dire: “Come fa a non rendersi conto che…”? È lo stesso motivo per cui non ci rendiamo conto dei nostri errori. Per esempio, quando si accontenta troppo il “tatone”, che diventa viziato e prepotente, perché poi ci si stupisce? Se si vuole far crescere figli forti e sani, si deve essere più equilibrati. E per prima cosa si deve guardare in faccia la realtà delle cose; eppure, è così difficile perché la verità è una ferita narcisistica, se ne esce ammaccati.
Se vogliamo davvero sapere la verità su noi stessi, o andarci molto vicino, si devono attivare quegli “antivirus” che spesso si hanno accanto: il nostro coniuge/compagno. Se chiedete “Caro, cosa ne pensi di me come mamma”, o “Cara, cosa ne pensi di me come papà?” si apre un dibattito che svolta la serata!
È bene ricordare però che solo i forti non hanno paura della verità. La maturità è infatti amare la verità e la giustizia più di sé stessi. Altrimenti si è ancora bloccati nell’infanzia. Non dire la verità all’altro non aiuta certo. C’è un patto amoroso tra mamma e papà, e l’intensità delle emozioni non equivale al loro valore. Chi si sta vicino deve aiutarsi a essere migliori, perché si sta anche insieme per migliorarsi. Amare è sicuramente difficile, ma ancora più difficile è farsi amare. Farsi dire la verità e dirla aiuta a mettere le mani dove si sbaglia.
Se tutto ciò non lo fanno i genitori, ad accorgersi dei nostri virus sono i figli, bravissimi ad approfittare dei punti deboli e delle paure dei genitori, della mamma in particolare. Sono anche bravissimi a “incantesimare”, a far credere ai genitori che una cosa sia vera quando non lo è. E questo non è certo un bene per la loro educazione. Agiscono sul cuore materno facendo credere di soffrire (quando non è vero niente) per tenere la mamma in pugno.
Mamme “scantate”
Amare la verità più del figlio stesso vuol dire non cadere vittima del suo “incantesimo”. Le mamme “scantate” sono le migliori e agiscono per il meglio. C’è poi da dire che non sono solo i figli a far sentire in colpa le mamme: pare, infatti, che questo sia lo sport nazionale. È ora di finirla.
Con una mamma uscita dall’incantesimo non c’è nulla da fare; se invece continuasse a sentirsi una “mamma cattiva”, il figlio godrebbe di sconti di pena! Poi ci vuole anche una certa leggerezza nei rapporti con i figli, e amare la verità per farla vedere – e condividere – con il figlio.
Le peggiori nemiche delle donne/mamme sono le altre donne/mamme. Quante volte ai colloqui con le maestre e le professoresse le mamme si sentono dire “Signora, se non ha tempo per seguirlo…”, lasciando intendere tante cose. Le mamme tornano a casa “radioattive”: con queste “flebo di sensi di colpa” attaccate, è difficile stare serene. Com’è che tutti si divertono a farle star male, ‘ste donne?
Si pensi alle cognate acide che hanno sempre i figli migliori…
Ma si è mai provato a mandare un papà ai colloqui? Torna a casa sereno, a lui nessuno chiede se lavora il pomeriggio. È il maschile che salva la mamma. Il senso di colpa è una lente deformante che ci fa prendere anche colpe che non abbiamo.
La psicologia è femminile, è la scienza che dà profondità e connessione alle cose, è sottile e arricchisce il registro interpretativo della realtà. “Lo starò abbandonando?”. “Lo sto trascurando?”, si chiedono le mamme, e questi sono pensieri tremendi che portano al “Dove sto sbagliando?”. Perché, se il “tatone” sbaglia, la mamma pensa sia colpa sua, per esserci troppo o troppo poco.
Il segno del papà
Il codice materno è la protezione. La mamma vuole prevenire il dolore del figlio. Il codice paterno invece è l’amore incoraggiante.
La mamma mente sapendo di mentire (“Che bello il disegno!”); il papà non illude il figlio su quello che non è (“Diciamo che vai bene in ginnastica”). Il papà incoraggia a non aver paura della delusione: aiutando, anche così, il figlio a crescere.
Il segno del padre è la ferita, ma non perché è cattivo, sotto c’è tanto amore, ma perché insegna a non aver paura del dolore, del far fatica. Questo è molto importante, considerato che non si può abitare il mondo secondo il principio del piacere, ma secondo quello della fatica, del fatto che non si può avere senza far nulla. La ferita del papà usa l’ironia, insegnando che è senza permalosità che si sta al mondo. La mamma invece vorrebbe sempre vedere, controllare e prevenire ogni minimo dolore; e si assume come responsabilità propria tutto ciò che non va nel figlio.
Al figlio va insegnato a fare le cose giuste, e per farlo va tagliato il cordone ombelicale; se poi sbaglia, il fallimento è suo. Le mamme invece si mettono in mezzo, diventano pesanti e antipatiche, perché lo stile femminile materno è insistente e l’insistenza abbassa le difese immunitarie. Perché si devono infastidire i figli a tutti i costi, perché si deve inondare il papà che torna a casa di tutte le cose che non vanno?
Un altro virus agisce: quello del determinismo educativo, il presupposto che la capacità educativa dei genitori sia determinante. Si pensa al figlio come a un foglio bianco su cui scrivere la sua storia con la bravura della nostra penna. Perché il figlio, diciamolo, è la nostra pagella: brava mamma, bravo figlio. Invece il fatto è che i figli nascono con un proprio temperamento, sul quale i genitori poco possono fare. Il carattere invece è frutto delle interazioni e quindi della formazione, mentre la personalità è l’interiorizzazione dei valori.
Tutto questo costituisce l’identità, che si completa attualmente a… 45 anni!
Le circostanze della vita, e il tipo di genitori che siamo, possono solo amplificare o ridurre il temperamento e questo, credo, sia una buona notizia per quanti si trovano davanti a figli che “non riconoscono”. Anche in questo caso, il dovere dei genitori è quello di amarli e non di doverli trovare simpatici a tutti i costi.
La verità vera è che i figli deludono, non nascono meravigliosi e perfetti. Avete mai visto una mamma non delusa? Questo proprio perché il loro temperamento può non piacere, o non essere in linea con il nostro, contenendo aspetti congeniti che non dipendono solo da lui e che si chiamano “difetti”. Diciamolo: i figli nascono difettati e quindi non è sempre colpa dei genitori; il compito di mamma e papà è farli migliorare, poi il resto è in mano loro.
Amore è verità e giustizia
Avete mai visto un bambino/a ragazzo/a dividere qualcosa con la sorellina/fratellino e l’amichetto? Dire: “Dài, io ieri sera ho visto il mio film preferito oggi tocca a voi?”. O dire: Sì, la marmellata l’ho mangiata io” al posto di negare anche se in faccia ne ha uno sbaffo?
Amano quindi verità e giustizia sin dalla nascita i figli? No.
Quanta fatica si fa a trasmettere loro l’amore per la verità, e far loro comprendere che la giustizia nelle relazioni è la reciprocità?
E questo perché anche i figli hanno un paio di “virus”: gelosia e invidia. La prima è il rifiuto, il non accettare, di perdere l’esclusiva sull’amore della mamma, esclusiva che è bene invece perda per non rovinare la vita agli altri. L’invidia invece è la non accettazione della propria inferiorità, che porta a sminuire gli altri, a ferirli, invece di accettare di non essere “sempre primi”.
Il compito dei genitori è debellare questi virus, questi lati del carattere, perché altrimenti crescono persone incapaci di amare gli altri e di farsi amare.
C’è da aggiungere poi che anche i figli hanno dei doveri: il primo è quello di amare i genitori in maniera proporzionale all’età e con il proprio carattere. In famiglia non c’è una scema, una serva, una badante, ma una mamma che fatica, che “rompe”, ma che va amata.
Perché questi figli devono diventare delle “persone vivibili”, che amano e si fanno amare.
La vita non è solo una laurea e un brillante inglese: quante persone brillanti lasciano dietro di sé una scia di dolore? L’importante non è una bella pagella, ma far superare ai propri figli il loro egoismo. Certo, configurare un carattere richiede molta fatica, da parte dei genitori e da parte dei figli. Ma, in fin dei conti, cosa significa educare un figlio?Farlo diventare una persona migliore nella misura in cui ce lo permette. È fondamentale, questo “nella misura in cui lui ce lo permette”. Quindi, l’esito finale non appartiene esclusivamente e sempre a mamma e papà.
È una fondamentale linea rossa che tutti i genitori, prima o dopo, devono mettere, altrimenti soffriranno di un “dolore malato” che si chiama senso di colpa, e non di un “dolore sano” fatto dal dispiacere e dalla preoccupazione. E i genitori sono destinati a soffrire meglio una croce di legno (il secondo caso) che non una di ferro (il primo). Tutto questo è buonsenso, che ancora esiste, ma che spesso è nascosto per paura del giudizio del senso comune.