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L’Architettura industriale del ‘500 Veneto in esposizione a Vicenza

È aperta fino al 12 marzo la mostra “Acqua, terra, fuoco. Architettura industriale nel Veneto del Rinascimento”, al Palladio Museum di Vicenza.

Un’esposizione che dimostra che se Palladio riuscì a realizzare le sue meraviglie fu certo merito del suo genio ma anche, se non soprattutto, degli effetti di quel “miracolo economico” che nel ‘500 portò il Veneto di terraferma ai vertici dell’innovazione tecnologica e della produttività europee.

Nel 2012, quando il Centro Internazionale di Studi Andrea Palladio (CISA) aprì a Palazzo Barbaran da Porto il Palladio Museum, al centro del cortile nobile venne messo a dimora un gelso. A chiarire ai visitatori che Palladio non avrebbe potuto creare ville e palazzi oggi oggetto dell’ammirazione universale senza quell’albero, ovvero senza l’attività delle seterie che venivano alimentate dai bozzoli tessuti da bruchi, che delle foglie dei gelsi si cibavano. E non a caso la mostra, per la prima volta, puntualizza come quella grande vicenda imprenditoriale sia stata scelta come evento di punta del decennale del Museo.

“Acqua, Terra, Fuoco. Architettura industriale nel Veneto del Rinascimento”, curata da Deborah Howard del St. John’s College di Cambridge, indaga infatti lo straordinario sviluppo industriale che trasformò campagne e colline del Veneto in sedi di efficientissime manifatture che non avevano pari nel mondo dell’epoca. Una potentissima “Silicon Valley” rinascimentale localizzata in aree periferiche, soprattutto ai piedi delle colline dell’Alto Vicentino e del Trevigiano. Qui scorrevano con impeto le acque che offrivano la forza motrice, qui venivano trattate le materie prime che, plasmate con il fuoco e la stessa acqua si trasformavano in prodotti innovativi, richiestissimi sui mercati della Serenissima e di tutta Europa.

A fare la differenza, rispetto alle analoghe imprese del continente, fu la capacità di innovazione, di mettere a punto, e brevettare nuove tecnologie e, allo stesso tempo, di puntare su reti commerciali capillari.

“La mostra, frutto di più di tre anni di ricerche in musei, archivi, biblioteche e ‘sul campo’, ricerca finanziata dal Leverhulme Trust di Londra (UK), mette in evidenza – spiega il direttore del CISA e del Palladio Museum, Guido Beltramini – ciò che sino a oggi era rimasto dietro le quinte. Attraverso dipinti, mappe, disegni, oggetti e modelli antichi ci fa scoprire le architetture del boom industriale del Veneto del Rinascimento, vale a dire le fabbriche del Nord-Est di cinque secoli fa. Senza la ricchezza da loro prodotta, le ville e i palazzi di Andrea Palladio non avrebbero potuto prendere forma”.

“Grazie a prestiti italiani e internazionali, sono esposti dipinti di Tiziano, Francesco Bassano e Bellotto, disegni rinascimentali, preziosi modelli antichi di meccanismi brevettati, provenienti dal Maximilianmuseum di Augusta, mappe e documenti d’archivio, libri rari, oggetti d’uso prodotti dalle imprese venete rinascimentali, come il rarissimo corsetto maschile in cuoio e seta di fine Cinquecento, noto come ‘cuoietto’, e ugualmente oggetti d’arte come preziose croci liturgiche con l’argento delle miniere di Schio e spade forgiate a Belluno. Per l’occasione il film-maker Fausto Caliari ha realizzato nove filmati che raccontano lo stato di altrettante “fabbriche” rinascimentali, alcune delle quali ancora oggi in funzione. Questi filmati costituiscono una preziosissima testimonianza del patrimonio proto-industriale del territorio e come tali entreranno a tutti gli effetti nelle raccolte digitali permanenti del Palladio Museum. L’allestimento, disegnato dall’architetto e regista teatrale Andrea Bernard, è concepito per coinvolgere il grande pubblico in un viaggio alla scoperta di questo aspetto poco conosciuto della cultura del Rinascimento europeo”, conclude Beltramini.

“La mostra racconta il passato, ma con lo sguardo al presente e al domani – dichiara Lino Dainese, presidente del CISA e del Palladio Museum –.  Ci parla dell’antica alleanza che nel Veneto del Rinascimento legò economia, arte e cultura: l’imprenditoria prosperava grazie all’innovazione, e chiese a Palladio di darle un volto architettonico, altrettanto visionario e rivolto al futuro”.

Al tempo stesso la mostra vuole attirare l’attenzione sullo stato precario in cui versa parte del patrimonio proto-industriale oggi, patrimonio che va invece tutelato perché tratto fondante della nostra identità. Non vanno trascurate le lezioni che possiamo trarne: la capacità di coniugare sviluppo e bellezza in armonia con l’ambiente; i vantaggi, economici ma anche ambientali e creativi, di ambienti produttivi in co-working, in cui le stesse risorse possono essere riutilizzate; l’impiego di materiali economici e di provenienza locale; il ricorso a fonti energetiche pulite e rinnovabili.

Il percorso della mostra

Sala dopo sala, il visitatore viene guidato in un inedito percorso costellato di oggetti, modelli tridimensionali e video: un tema fatto di saperi, attività, luoghi e dinamiche che non solo hanno dato vita a un’epoca d’oro nel passato, ma hanno costruito l’identità del presente.

SALA 1 | Preludio: Arte e scienza: dai trattati di meccanica ai brevetti

La mostra si apre con una panoramica sul Veneto del Cinquecento, dove una congiunzione fortunata di stabilità politica e di abbondante disponibilità di acqua di risorgiva permette di costruire nuovi insediamenti per la lavorazione di lana, seta, pelle, carta, legno, ceramiche e metalli.  Un singolare oggetto domina la prima sala: è un diagramma tridimensionale che mostra il boom del numero di brevetti concessi dal Senato veneziano nel Veneto palladiano. Con un decreto del 1474, infatti il Senato istituisce una procedura per il rilascio di brevetti alle nuove invenzioni, un sistema pionieristico che tutela la proprietà intellettuale dell’inventore e stimola l’innovazione sul territorio. Tra il 1550 e il 1600 si assiste a una vera e propria esplosione nel numero di brevetti concessi, che aumentano del 400% rispetto al cinquantennio precedente. È l’indice di una rivoluzione industriale in atto, con numeri comparabili solo con quelli della Rivoluzione Industriale della seconda metà del Settecento. Se i testi delle richieste dei brevetti veneziani sono giunti ai nostri giorni, purtroppo i modelli tridimensionali che obbligatoriamente accompagnavano le richieste sono andati perduti: tuttavia in mostra ne sono presentati due, scovati in Germania nella collezione fondata nel 1620 dall’architetto Elias Holl e oggi conservati al Maximiliansmuseum di Augsburg (modello in legno di un mulino da macinazione; modello di una segheria “alla veneziana”, 1750 circa). Una sezione dedicata ai trattati approfondisce le dinamiche della trasmissione del sapere tecnologico. Nel Medioevo esso era segreto, custodito e trasmesso all’interno delle corporazioni artigiane. A partire dal Quattrocento invece, grazie all’invenzione della stampa, inizia a circolare, prima attraverso raccolte di disegni e poi attraverso libri illustrati. Nel Cinquecento gli artigiani-ingegneri studiano i disegni di macchine tracciati decenni prima da Francesco di Giorgio Martini, mentre vedono la luce trattati come i Nova reperta (= Nuove scoperte, 1588) di Joannes Stradanus e il Novo teatro di machine et edificii di Vittorio Zonca (1621).

Non manca nella prima sala della mostra una riflessione rivolta anche al presente e al futuro: l’energia idraulica è pulita, rinnovabile ed economica e oggi come allora è un bene preziosissimo, se sfruttato con intelligenza. Accorpare più funzioni in un unico complesso permette di utilizzare al meglio le risorse, contenendo gli sprechi e ottimizzando la produttività. Analogamente, i materiali da costruzione tradizionali sono di provenienza locale e forniscono un modello economico sostenibile ed ecologico valido ancora oggi. 

SALA 2 | Acqua in città, acqua in campagna. 

Il salone di palazzo Barbarano ospita la sezione della mostra dedicata all’acqua, dividendo il racconto fra “l’acqua in città” e “l’acqua in campagna”.

Partendo dalla celebre Pianta Angelica (una veduta di Vicenza databile al 1580), affiancata da una sua riproduzione tridimensionale con evidenziati i centri produttivi, la prima sezione si focalizza sulla diffusione delle attività all’interno delle mura delle città venete, nello specifico Vicenza, Verona, Treviso, Padova e Bassano del Grappa. Le città sono nel Medioevo i principali luoghi di produzione, ma questa ha carattere domestico e si serve di macchinari azionati dalla forza umana o da animali. Con lo sviluppo della tecnologia, a partire dal Quattrocento, i tradizionali mulini per la macinazione vengono affiancati da mulini in grado di sfruttare l’energia idrica per mettere in modo seghe, filatoi, magli e altri meccanismi. La produzione dei tessuti, che prima veniva effettuata attraverso il sistema di lavoro dato a domicilio, nel Cinquecento viene meccanizzata e ha luogo all’interno di edifici costruiti appositamente. In pochi decenni le città si popolano di mulini, costruiti o sulle rive di corsi d’acqua o su piattaforme galleggianti. Questi ultimi sono ancora visibili nel Settecento nella bella veduta di Verona di Bernardo Bellotto (Verona, Fondazione Cariverona, 1745 circa) e nelle fotografie ottocentesche di Verona e di Padova.

Per dare un riferimento in termini di produttività e di forza lavoro, nel 1553 Vicenza ospita otto grandi laboratori tessili, ognuno dei quali impiega fino a 50 persone. Antonio Pelo, produttore di lana, nel 1560 dà lavoro a 113 operai in un unico edificio. A Verona, un secolo prima, la lavorazione della lana offriva impiego addirittura ad un lavoratore su tre. 

Nel 1456 un maestro bolognese costruisce a Verona un mulino idraulico da seta: è l’inizio di una nuova età dell’oro, che vedrà presto Vicenza (e i committenti di Palladio) al centro di una rete commerciale che abbraccerà tutta l’Europa.

La sezione dedicata all’acqua in campagna si apre con il modello di villa Barbaro a Maser. Di questa villa Palladio descrive il ruolo giocato dall’acqua, che sgorga nel ninfeo retrostante, attraversa le cucine, alimenta le fontane e scende poi a irrigare la campagna. Proprio in questa villa, Francesco Barbaro (padre dei committenti palladiani) aveva un mulino per la lavorazione della lana.

L’acqua è la forza motrice di mulini lungo tutta la pedemontana. La messa a punto di nuove tecnologie permette di trasformare il movimento rotatorio delle ruote in movimento verticale, utile per la battitura e per la segatura. Mentre l’area delle Valli del Pasubio si va specializzando nel taglio del legname, l’area di Dueville diventa invece un centro di produzione della carta. Non manca, diffusa ovunque nel territorio, la filatura della lana, documentata in mostra da stampe, dipinti votivi e dalla riproduzione di un berretto cinquecentesco, il cui esemplare originale è conservato a Londra. Altra attività di spicco è la concia delle pelli, che produce, tra le varie cose, la materia prima per l’abbigliamento alla moda, ben rappresentato dal rarissimo e prezioso cuoietto, un corsetto maschile in pelle e seta di fattura veneziana (Venezia, Museo di palazzo Mocenigo, 1575 circa).

SALA 3 | Architetture infernali: le fucine

Secondo il trattatista-architetto della Roma antica Vitruvio, fu il fuoco a dare il via alla storia dell’umanità. La sezione si apre con una panoramica sui forni per la produzione di calce, mattoni e tegole. Ad accogliere lo spettatore si trova l’Allegoria dell’elemento fuoco di Francesco Bassano (Vicenza, Banca Popolare di Vicenza, 1585-90): al centro un fabbro anziano e un giovane assistente stanno lavorando, circondati da armature, pentole e candelabri, mentre in secondo piano rompono l’oscurità le luci di una fucina.

Del tutto simile come ambientazione è la raffigurazione di Orfeo ed Euridice di Tiziano (Bergamo, Accademia Carrara, 1510 circa), dove la visione infernale dell’Ade assume i tratti di gigantesche fonderie. Il Veneto nel Cinquecento era famoso per la produzione di armi, legata alla presenza di due importanti distretti, uno a nord di Brescia e uno a Belluno. Al centro della sala è visibile uno splendido corsaletto di fanteria di fattura bresciana (Brescia, Museo delle Armi Luigi Marzoli, 1570-80 circa), ornato da raffinati arabeschi e squame di pesce. Corazze di questo tipo erano così apprezzate che furono persino fornite alle Guardie Svizzere in Vaticano. La bellissima spada (Milano, Museo Poldi Pezzoli, XVI sec.), la cui lama è firmata dal più famoso spadaio bellunese, Andrea Ferrara, certifica la qualità delle sue lame, richieste fin dall’Inghilterra e dalla Scozia. La sezione dedicata al fuoco termina con una raccolta di oggetti in metallo di uso quotidiano (attrezzi per l’agricoltura, la falegnameria e per uso domestico), allestita ispirandosi alle installazioni dell’artista messicano Damián Ortega: una “nuvola” di oggetti appesi su fili invisibili che fluttuano nell’aria e conducono lo spettatore in un nuovo mondo.

SALA 4 | Dalle viscere della terra alla vita di tutti i giorni

Articolate nell’oscurità del mondo sotterraneo, le miniere sono state per secoli tanto scenario di miti e leggende quanto luogo di estrazione di metalli preziosi. Nel Quattrocento, le miniere del Tretto, a nord di Schio, diventano famose per i loro ricchi giacimenti d’argento. La splendida croce processionale (Vicenza, Museo Diocesano, 1425-50 circa) documenta l’abilità degli artigiani veneti nella lavorazione di questo metallo.

Esaurita la vena d’argento, le stesse miniere diventano luogo di estrazione della terra bianca o caolino, materiale particolarmente apprezzato nel processo di produzione della ceramica. Anche il Brenta offre materie prime che tornano utili per questo settore: i ciottoli di calcare, infatti, costituiscono l’ingrediente-base per le rinomate ceramiche bianche di Nove e di Bassano, di cui sono presenti in mostra alcuni esemplari. Proprio in questi due centri di produzione, nel Settecento, gli artigiani si ispirano alle porcellane cinesi e alle ceramiche turche, proponendo un prodotto locale alla moda. È grazie a questa capacità di sfruttare le risorse del territorio e di reinventare le attività a seconda della disponibilità di materie prime che fanno sì che l’economia sia in continuo sviluppo, di pari passo con la messa a punto di nuove tecnologie.

Info utili

Orari di visita: dal mercoledì alla domenica, 10:00-18:00 (ultimo ingresso 17:30); il martedì su prenotazione, gruppi min. 10 persone

Biglietti: intero € 8,00; ridotto € 6,00 (gruppi di almeno 15 adulti, soci FAI, soci Touring Club, over 60, studenti under 25); scuole € 2,00 (scuole, soci Touring Club Junior); gratuito: bambini fino a 6 anni compiuti, giornalisti, 1 portatore di handicap + 1 accompagnatore, soci ICOM, 1 insegnante accompagnatore per classe, militari); Palladio family € 12,00 (da 1 a 4 bambini/ragazzi under 18 con due adulti). Visite guidate € 80,00 (gruppo da 25 persone). Le tariffe ridotte o gratuite sono applicabili presentando un documento, tessera o badge valido e non scaduto che ne attesti il diritto. Il Museo è interamente accessibile alle persone con disabilità motorie.

CONTATTI
www.palladiomuseum.org/rinascimento
e-mail: accoglienza@palladiomuseum.org
tel.: 0444.323014

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