BENETTON. TREMANO I LABORATORI DELL’INDOTTO. DAL 2014 A RISCHIO 100 SUBFORNITORI
E’ esploso in queste ore il caso “Benetton”. Giuliano Secco da Treviso, ha avuto occasione di rispondere alle domande di un giornalista del Gazzettino locale. Riportiamo l’articolo.
“Siamo stati gli artefici dell’impero Benetton. Questa purtroppo è la riconoscenza”. E’ lapidario il commento di Giuliano Secco, Presidente nazionale e provinciale di Treviso dell’Abbigliamento, alla notizia bomba che dal 2014 il gruppo di Ponzano intende dismettere la gran parte delle lavorazioni fatte in Italia con un grande rischio per i dipendenti ed i laboratori artigiani. “Forse –prosegue Secco- dovrebbero guardarsi intorno e pensare a cosa lasciano nel territorio. Giustamente un imprenditore deve fare i propri interessi ma Benetton dovrebbe pensare a chi ha contribuito a renderlo grande: noi artigiani”. Giuliano Secco è il presidente dei piccoli imprenditori del tessile di Confartigianato della Marca: la sua stessa ditta, settore maglieria, a lungo ha prodotto per conto del colosso di Ponzano. Nei tempi d’oro, ricorda Secco, il sistema legato al gruppo Benetton contava fino a tremila laboratori contoterzisti dando lavoro ad almeno ventimila addetti. Dagli anni 90 in poi gli uni e gli altri si sono via via assottigliati fino al centinaio o poco più di ditte attuali. “Se riducono ancora non resta nulla – sbotta -. A questo punto dovrebbero essere più sinceri ed ammettere: chiudiamo in Italia”. Per anni il rapporto è stato di reciproca convenienza: “Sono state le nostre aziende a formare i dipendenti che poi hanno contribuito al successo di Benetton. Era uno scambio utile a tutti: per me era un piacere ed un onore se un mio ragazzo andava alla Benetton”. Tra gli artigiani ora l’apprensione è elevatissima: “In questi giorni mi hanno chiamato moltissimi colleghi: dire preoccupati è poco. La Benetton ha avuto tanto da noi e dallo Stato italiano. Ora purtroppo non lascia feriti, ma morti”. Ad aumentare l’amarezza del rappresentante dei piccoli imprenditori anche il mancato coinvolgimento della categoria: “Discutono con i sindacati, ma alle nostre associazioni non fanno sapere nulla. Eppure rappresentiamo molte ditte dell’indotto”. Secco contesta le scelte dei “Colori uniti”: “In giro per il mondo Benetton vuol dire made in Italy ma di made in Italy ormai non ha più nulla: è solo un nome. Ho letto di un calo delle vendite del 25%: si sono domandati il motivo? Certo, c’è la crisi, ma Zara, che in passato non era al livello del gruppo trevigiano, ora l’ha superato, vende a palate e fa utili. Eppure il made in Italy, quello vero, è richiestissimo all’estero. Purtroppo non l’hanno capito, erano convinti bastasse il marchio Benetton, hanno smantellato tutto, inseguendo le agevolazioni offerte da paesi stranieri. Invece la gente cerca la qualità, quello che solo noi potevamo garantire”.