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CAMBIO ALLA GUIDA DI CONFARTIGIANATO TRASPORTI. GENEDANI SOSTITUISCE SQUARCIA DOPO SOLO 9 MESI. L’OPINIONE DEL VENETO ORTONCELLI

Amedeo Genedani è il nuovo presidente di Confartigianato trasporti è stato eletto il 4 ottobre dall’Assemblea dei Delegati riunitasi a Roma, presso la Sede di Confartigianato. Guiderà l’Associazione che rappresenta oltre 35.000 imprese, singole e consortili, di autotrasporto merci, che danno occupazione a 70.000 addetti. Affiancheranno Amedeo Genedani, in qualità di Vice Presidenti, Stefano Boco (Umbria), Agostino Pozzi (Lombardia), Michele Varotto (Veneto), Giovanni Mellino (Sardegna). Amedeo Genedani, titolare di un’impresa di trasporti a Fiorano, in provincia di Modena, è Presidente di Confartigianato Lapam di Fiorano, e ha ricoperto numerosi incarichi associativi a livello nazionale e locale nell’ambito di Confartigianato Trasporti. Il nuovo Presidente, nell’annunciare le linee programmatiche del suo mandato alla guida degli autotrasportatori di Confartigianato, ha indicato “la necessità di un rinnovato sforzo dell’Associazione per vigilare sul rispetto degli impegni assunti dal Governo nei confronti della categoria” e ha sottolineato “l’urgenza di offrire risposte agli imprenditori del trasporto merci gravemente colpiti dalla crisi”. In particolare, il Presidente Genedani ha puntato il dito contro il Sistri, il sistema telematico di tracciabilità dei rifiuti pericolosi, che gli autotrasportatori devono applicare dal 1° ottobre, definendolo “inutilmente costoso e inefficiente. In questo momento di difficoltà – ha detto il Presidente Genedani – le nostre imprese non hanno certo bisogno di altri problemi come quelli che sta provocando il Sistri”. Genedani sostituisce Mauro Squarcia durato in carica solo 9 mesi. A Nazareno Ortoncelli abbiamo chiesto un commento su esito dell’Assemblea e sulla situazione del settore dell’autotrasporto.
“Alcuni rappresentanti della Confartigianato trasporti vogliono un nuovo inizio, chiedendo il cambio dei vertici nazionali, una nuova associazione più a misura delle imprese aderenti e capace di tutelarle. Nella maggior parte dei casi queste imprese sono monoveicolari e l’artigiano esegue materialmente il trasporto, in altri casi invece lo fa con qualche dipendente, generalmente in azienda da anni. Queste imprese sono una risorsa per il Paese. Vanno rivalutate perché, nel settore, sono il nostro più autentico made in Italy: non delocalizzano in paesi extra UE, non licenziano i dipendenti per farli assumere da agenzie interinali dell’Est Europa eludendo i costi della contribuzione italiana per poi farli comunque lavorare in azienda. Non sfruttano i colleghi facendogli fare il cabotaggio selvaggio, non acquistano gasolio più o meno regolare da Austria o Slovenia chiedendone il rimborso dell’accisa all’Italia. Sono imprenditori che non utilizzano la cassa integrazione a spese dello Stato. Sono forse masochisti o stupidi? No, più semplicemente credono nel loro Paese e qui rimangono a sostenere i costi italiani imposti all’autotrasporto, a cercare di salvaguardare i posti di lavoro dei loro autisti, aggrappandosi al loro cliente storico al quale, tutti i giorni, vengono proposti costi per servizi del 30-40% più bassi. Sono innamorati del loro lavoro e lo sanno fare bene con la ricercatezza dell’artigiano, capace di rispondere all’esigenza più particolare. Credo che la questione di fondo, alla base dell’attuale situazione del comparto, aggravato dalla crisi economica, sia la riforma del 2005, con cui si è illusa la categoria nel nome di una liberalizzazione regolata che ha cancellato le famigerate tariffe a forcella. Sicuramente erano altri gli interessi che spingevano il settore in quella direzione, e oggi non è certamente l’autotrasporto che rappresentiamo a goderne i benefici. Perché togliere le tariffe a forcella così in anticipo, quando neanche l’Europa era riuscita a scalfirle sul piano normativo? La risposta: perché inapplicabili. O meglio, perché il rischio degli autotrasportatori che chiedevano ragione delle tariffe a forcella era la perdita del lavoro. Ragion per cui le tariffe erano mantenute come ultima spiaggia. Utili nella vertenza tariffaria con il committente, ma al prezzo, com’è logico che sia, della perdita del lavoro. Ecco quindi la riforma dell’autotrasporto, con le sue promesse e con i costi minimi per la sicurezza, introdotti dopo un viaggio abbastanza tortuoso fra le norme inapplicate delle riforma e durato alcuni anni. Non una tariffa ma un “calmiere tariffario” che avrebbe permesso all’autotrasportatore di non essere sfruttato, di lavorare in tranquillità, almeno sul piano della sicurezza stradale nel rispetto dei tempi di guida e di riposo. Tutto ciò accade dopo sette anni di andirivieni, con modifiche e integrazioni che cercano di limitare il danno, per esempio l’introduzione della corresponsabilità della committenza e la possibilità di agire nei confronti del proprietario della merce se il nostro vettore non ci paga. Nonostante ciò, sta di fatto che per ottenere i costi minimi anche oggi è necessaria una vertenza tariffaria. Per questo molti trasportatori si chiedono quale sia la differenza fra le vecchie tariffe a forcella e gli attuali costi minimi. Dopo tutto questo tempo non è successo alcunché, o meglio qualcosa è accaduto. Abbiamo perso sette anni in ragionamenti e illusioni per la vanagloria e l’interesse di qualcuno e di tutti i suoi cortigiani dell’autotrasporto. Oggi l’unica nota positiva di quella “riforma” è la corresponsabilità del committente. Ora cosa andremo a dire agli autotrasportatori? Che ci siamo sbagliati? Che sono mancati i controlli? Nel 2008, un’altra norma, passata in sordina, ha elevato la soglia minima di accesso al mercato dell’autotrasporto. Dal 2008 infatti per esercitare l’attività, oltre ai tre requisiti fondamentali e aver superato l’esame per l’accesso alla professione, l’aspirante autotrasportatore deve acquisire almeno due camion con un portata minima di 800 quintali. Questo provvedimento, si commenta da solo. E’ la fine del monoveicolare! Però le grandi aziende ora non hanno più necessità di acquistare un’autorizzazione per ogni veicolo e ne possono fruire liberamente di quanti ne vogliono, 10-100- 200 ecc…Se tutto ciò non bastasse poi la riforma dell’autotrasporto ha creato un bel po’ di burocrazia, oltre alle 13 sigle associative di rappresentanza di categoria in Italia. Per non parlare dei carrozzoni pubblici nati all’ombra dell’autotrasporto e oramai anacronistici. L’Albo, per esempio, ovvero l’organo di autogoverno del settore. Oggi a mala pena mantiene aggiornato l’elenco nazionale delle imprese e di fatto recentemente è stato sostituito dal REN (registro elettronico nazionale). Eppure è ancora lì con il Pra e gli uffici della Motorizzazione. Siamo consapevoli che serve un cambio di passo, un nuovo inizio e nella Confartigianato trasporti c’è una forte volontà a perseguire il necessario rinnovamento, che inizialmente deve passare dal cambio dei vertici nazionali. Facciamo gli auguri alla CNA-Fita di Cinzia Franchini che è in sintonia con questa istanza di rinnovamento. In questo nuovo corso c’è voglia di discontinuità rispetto al passato e per questo una mano sarà tesa anche verso la committenza riportando la conflittualità tra le parti ad un più autentico confronto tra imprenditori. Tutto ciò questa nuova Confartigianato Trasporti vuole farlo anche con le altre associazioni vettoriali nella condivisione che, oggi, bisogna focalizzare l’azione della rappresentanza da una più generale politica dei trasporti, che dovrebbe dare dei risultati nel lungo periodo, a una urgente politica per i trasportatori. Una rappresentanza che dia nell’immediato risultati anche piccoli ma “salvavita” per le nostre imprese artigiane. Un valore da preservare.