COME RICONOSCERE LE SCARPE E I VESTITI PERICOLOSI PER LA SALUTE
di Maria Gabriella Lanza
Molti capi di abbigliamento contengono sostanze chimiche a rischio. Ne fanno uso anche i grandi marchi. Solo in Italia l’8% delle patologie dermatologiche sono dovute al contatto con i vestiti. Il progetto “Made in colours” mira a inserire nell’etichetta un codice a barre che certifichi gli agenti utilizzati nella colorazione Se vogliamo sapere in anticipo quale colore andrà di moda nelle prossime collezioni estive, ci basta osservare la colorazione dei fiumi cinesi, come denuncia da tempo l’associazione Greenpeace. Le grandi aziende, infatti, utilizzano nella fase di produzione e di lavaggio dei loro capi sostanze tossiche che vengono scaricate nell’ambiente. Non è un problema che riguarda solo Paesi lontani come Cina, Bangladesh, Vietnam o Messico, dove sorgono gli stabilimenti dei brand più famosi: i residui industriali contaminano le acque e i pesci che poi ritroviamo sulle nostre tavole. Ma non solo. Tutti i giorni veniamo a contatto con questi agenti chimici attraverso gli abiti che indossiamo. Made in colours. E’ per questo che Michela Kahlberg, manager che da anni si occupa di coloranti, ha lanciato il progetto “Made in colours” : l’obiettivo è quello di spingere le aziende ad adottare una etichetta con un codice a barre che permetta al consumatore di verificare, tramite una app sul suo cellulare, tutte le sostanze utilizzate. “Pochi sanno che in Europa esiste una normativa, il Reach, “Registrazione, valutazione e autorizzazione dei composti chimici”, entrata in vigore nel 2007, che vieta l’uso di determinati prodotti chimici”, spiega Kahlberg. Ogni azienda europea che produce o importa queste sostanze è tenuta ad effettuarne la registrazione presso l’Agenzia europea delle sostanze chimiche. In questo modo si dovrebbe garantire al consumatore la sicurezza di non indossare capi contaminati. La realtà però è ben diversa. “Quando leggiamo sulle etichette “made in Italy” non abbiamo la certezza che il prodotto sia stato realizzato interamente nel nostro Paese. Una azienda può fabbricarlo in Cina, dove non ci sono controlli, e poi spedirlo in Italia per gli ultimi ritocchi”. Il progetto è appena partito ma ha già raccolto l’adesione di alcuni imprenditori della provincia di Prato dove è stato presentato. Le sostanze tossiche e i rischi per la salute. Sono centinaia le sostanze chimiche utilizzate nell’industria tessile per la colorazione, come spiega Chiara Campione, responsabile di Greenpeace: “In questi anni abbiamo analizzato i vestiti e le scarpe delle maggiori aziende mondiali e abbiamo chiesto loro di eliminare subito i composti più pericolosi come i nonilfenoli etossilati (Npe), gli ftalati e gli perfluoroclorurati”. I nonilfenoli etossilati, una volta rilasciati nell’ambiente, non si degradano facilmente, risalgono la catena alimentare fino arrivare all’uomo e possono alterare il nostro sistema ormonale. In Europa il loro utilizzo è vietato per molti prodotti. Gli ftalati sono utilizzati nella pelle artificiale, nella gomma e in alcuni coloranti. Entro il 2015 verranno messi al bando nell’Ue. I composti chimici perfluoroclorurati hanno effetti sul fegato e possono influire sui livelli di crescita e sulla riproduzione ormonale. Ma non solo. L’Associazione Tessile e Salute ha analizzato la presenza di sostanze pericolose nel mercato tessile italiano: i capi d’abbigliamento presi in considerazione contenevano metalli pesanti (6%), ammine aromatiche cancerogene (4%), coloranti allergenici (4%), formaldeide (4%). Mentre il 50% delle calzature in pelle o in cuoio aveva al suo interno cromo VI, un agente cancerogeno. La ricerca ha dimostrato che il 7-8 % delle patologie dermatologiche sono dovute al contatto con i vestiti. Dati confermati anche dal rapporto Rapex (sistema europeo di allerta rapido per i prodotti non alimentari) che indica gli abiti alla moda come i prodotti con più sostanze chimiche a rischio. “I possibili effetti sull’uomo vanno dai comuni rush allergici, all’irritazione fino a casi di tumori della pelle”, spiega Campione. I marchi che inquinano. Dal 2011 Greenpeace ha lanciato la campagna Detox) per spingere le aziende del tessile a produrre rispettando l’uomo e l’ambiente. L’utilizzo di sostanze tossiche è, infatti, trasversale: dai brand del lusso fino a quelli più accessibili e popolari. I test effettuati da Greenpeace dimostrano che fanno uso di nonilfenoli etossilati marchi come Converse, Ralph Lauren, Calvin Klein, Kappa, Lacoste. Ma sono presenti anche nei vestiti e nelle calzature per bambini firmati Disney, Burberry, Adidas, Puma, Nike, come afferma il rapporto “Piccoli mostri nell’armadio” di Greenpeace Asia (Pdf). Per fortuna, però, qualcosa sta cambiando. “Trenta grandi aziende hanno aderito alla nostra campagna. Abbiamo concordato con loro un piano per produrre green e controlliamo periodicamente i risultati raggiunti. Valentino e Benetton hanno già eliminato gran parte delle sostanze tossiche dalle loro collezioni”, continua Campione. Hanno preso un impegno con Greenpeace anche marchi come H&M, Levi’s, Mango, Zara, Puma, Adidas, Nike, Burberry. Ma sono tanti ancora quelli che continuano ad inquinare. Tra questi Dolce&Gabbana, Cavalli, Prada, Chanel, Versace, Gucci, Louis Vuitton. Anche sei imprese tessili italiane hanno deciso di mettere al bando gli agenti più pericolosi. Un primato unico per il nostro Paese. Sono Miroglio, Berbrand, Italdenim, Besani, Tessitura Attilio Imperiali e Zip, aziende che producono 70 milioni di materiali ogni anno per l’abbigliamento di lusso. Consigli. In assenza di etichette che ci diano la certezza che il capo non contenga sostanze dannose, quello che possiamo fare è lavare sempre due volte i vestiti appena acquistati. “La maggior parte degli agenti chimici va via con il lavaggio anche se in questo modo si inquinano le nostre acque”, spiega Campione. Inoltre, è consigliabile non acquistare mai abiti in cui non è scritto con quali materiali siano stati realizzati. La mancanza di informazioni indica che il prodotto non è mai stato controllato. Infine, possiamo orientarci verso marche che hanno deciso di produrre green.