Crepet: l’educazione dei figli non è vita comoda
Non le manda certo a dire Paolo Crepet, il noto psichiatra, sociologo e autore di numerosi libri dedicati all’adolescenza che ha aperto il ciclo di incontri della Scuola per Genitori.
Ma è proprio per questa sua schiettezza, unita a una solida preparazione, che tanti genitori lo seguono ed escono dalle sue conferenze con qualche domanda in più, chiedendosi se quel che fanno sia “la cosa giusta”. Crepet ha visto nascere la Scuola Genitori vicentina, per anni ne è stato l’anima; è tornato riprendendo, idealmente, le fila della sua riflessione sulla genitorialità, su com’è cambiata.
IL SUO INTERVENTO
Sintesi della serata del 10 ottobre 2023
Dove eravamo rimasti?
Se quasi vent’anni fa, quando è iniziata l’avventura della Scuola per Genitori, c’erano motivi di preoccupazione, oggi ce ne sono altri. Allora c’era la consapevolezza che molte aziende nel passaggio generazionale sarebbero andate perdute. Non era una questione economica: la verità era che la parte debole erano le nuove generazioni, i modi con cui erano stati educati a casa e a scuola. Abbiamo fatto bene, allora, ad aprire quel canale di ascolto e riflessione; ma, se siamo ancora qui, evidentemente non è stato sufficiente. All’epoca ho portato qualche dubbio e qualche strumento per capire cosa stesse succedendo, eppure qualcosa dev’essere sfuggito; i risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti.
Cerchiamo quindi di capire cosa è accaduto partendo da alcune cose sorprendenti, quasi comiche.
Ad esempio, una preside decide che quest’anno le pagelle non saranno consegnate: molti insegnanti sono d’accordo, di sicuro lo sono tutti gli studenti. Alla domanda sul perché di questa scelta, la risposta è che ragazzi e ragazze sono così fragili che una brutta pagella li farebbe piombare in una crisi di nervi. Ma siamo sicuri che siano tutti così? O alcuni sono fragili solo al mattino, quando sono a scuola, poi nel pomeriggio si riprendono e alla sera stanno talmente bene che escono e si divertono al bar? Qualcuno ha suggerito di abolire anche i voti. E allora, perché non trasformiamo la scuola in una sorta di club dove vai quando vuoi, trovi gli amici e poi ti riposi?
Ma perché tutto questo? È il risultato di una serie di cose, la cui origine ha radici lontane.
Quando ho studiato il “big bang” di questo trend negativo, sono arrivato all’anno1949. Siamo negli Stati Uniti e uno studioso capisce che, con la fine delle guerre e della crisi conseguente, è finito il tempo, fortunatamente, dell’autoritarismo. Propone perciò una sorta di “risorgimento”, in particolare nel suo campo: la pedagogia. Scrive così un libro intitolato “Manuale del buon senso ed educazione di bambini e adolescenti” e vende 52 milioni di copie in tutto il mondo, che all’epoca non è proprio poca cosa. Non solo: capisce anche che il suo cliente ideale sono le giovani madri e le donne in procinto di diventarlo. Il messaggio del dottor Benjamin Spock, questo il suo nome, è semplice: le vostre mamme e le vostre nonne hanno sbagliato sistema di educazione. E mette al centro il bambino e i suoi bisogni.
Da qui l’idea che al centro della nostra vita ci siano i figli, le loro necessità e i loro bisogni.
Il dottor Spock forse non pensava che si arrivasse ai livelli di oggi, ma quelle 52 mila copie vendute hanno spazzato via un mondo. Oggi tutto parte con il primo pianto del piccolo, a cui si risponde sempre e subito. Allora, riflettiamo: se ti offro il principio di piacere, la soddisfazione del desiderio, e poi te lo tolgo, è ovvio che scatti la rabbia. Questo non vuol certo dire accarezzare vecchi modelli di autoritarismo, ma riflettere su quel che facciamo e sulle conseguenze future. In questo caso, dalle ceneri del passato non è nata l’autorevolezza ma la debolezza, e tanti genitori che ieri hanno fatto la rivoluzione contro un certo tipo di genitore, oggi sono i servi dei propri figli.
La “comodità”
A questo punto, si sono sommate altre convergenze parallele. Una di questa si chiama comodità. Sbrigati i tempi difficili, superati quelli duri, abbiamo avuto l’illusione che da comodi potessimo migliorare le nostre condizioni. In parte è vero, ma di fatto adagiandoci abbiamo eliminato la fatica. E se cercavano la comodità per noi, perché non darla anche ai nostri figli? Loro, abbiamo pensato, non dovevano più avere quelle frustrazioni o quel dolore che abbiamo provato noi. Perché? Perché per noi amare i figli vuol dire levar loro la fatica. La nostra comodità ci è tanto piaciuta che così ci siamo “sdraiati”, siamo scivolati in uno stato anestetico, e con noi chi ci sta accanto. Abbiamo usato degli “oppiacei educativi”, al punto che ogni step della vita è segnato dal non dover superare alcun ostacolo!
Forse qualcuno ricorda il Maestro Manzi, la cui trasmissione “Non è mai troppo tardi” insegnò a molti italiani a leggere e scrivere; ebbene: lui sosteneva che “solo chi ha cultura è libero”.
Il suo messaggio era chiaro: nella vita ci sono molte difficoltà, ma sta’ tranquillo, ce la puoi fare. E questo vale anche per i bambini e i ragazzi. Far emergere la loro autostima, la loro autonomia, la loro creatività: questo è amore. Non il dare tutto, il togliere gli ostacoli. Dare una vita comoda è cinismo.
Poi, c’è il cambio demografico. Aver figli da giovani è diverso che averli in età un po’ più matura: nel primo caso si hanno progetti per altri figli, ma quando si ha una certa età tutti i progetti convergono sull’unico disgraziato di casa, che deve “essere tutto”. A lui i genitori chiedono di dar loro tutte le soddisfazioni. E in cambio? Anche noi ti diamo tutto: ti togliamo la fatica! Continuiamo pure così, ma il risultato è che, alla fine, li “uccidiamo” con la diseducazione.
Non c’è da stupirsi, quindi, quando poi un ragazzo mi chiede se l’ambizione non sia una “patologia”, perché l’ha sentito in casa. Ebbene, a lui dico: “Scappa! Lascia quella casa! Ti stanno facendo del male”. Perché il male si può fare in diversi modi, capiamoci. Inutile quindi, quando per i figli arriva l’adolescenza, che si sbarrino gli occhi e ci si chieda cosa c’è che non va. I genitori sono “istruttori di volo”, non “parcheggiatori”! Davvero dà così fastidio che un figlio cresca? Che capisca quali sono le sue capacità e i suoi limiti? Perché i limiti sono fatti per essere superati.
Torniamo in classe, dove qualcuno ha suggerito di non dare voti sotto il 4. Perché? Perché i ragazzi “non reggono”. Allora, perché non decidere di non dare sotto il 6-, che è più indolore e incolore?
Ma se tocchi il fondo puoi solo risalire, giusto? Se invece sei a metà galleggi, ti accontenti. Quando vai per mare, c’è un rischio. Perché ai figli dobbiamo togliere tutti i rischi, anche quello di cadere?
La “normalità”
Inoltre, noi vogliamo la normalità, figlia della comodità, la adoriamo. Ma se un mio amico mi descrivesse la sua fidanzata come “normale”, secondo voi cosa penserei di lui? Gli direi: la tua fidanzata, minimo, dev’essere eccezionale, non “normale”!
Normale non è sinonimo di giusto, come tanti credono. Essere diverso è l’espressione della propria anima, normale invece vuol dire che sei come tutti gli altri. Oggi abbiamo gli influencer che “normalizzano”: dicono che abiti indossare, di che colore, quando… Ma scherziamo?
Educare deriva dal latino “e-ducere”, cioè “tirar fuori” quello che è unico, non uguale agli altri.
Un’altra insegnante dice che “non tutti possono permettersi i sogni”: ma di cosa parliamo? Che vuol dire? Che i ricchi possono permettersi certe cose e gli altri no? Ma davvero ci crediamo?
Torniamo di nuovo al 1949, sempre negli Stati Uniti. C’è un bambino figlio di immigrati, piccoli commercianti, che abita in una cittadina anonima e noiosa e da piccolo si è preso la febbre tifoide. La sua mamma, per fargli passare il tempo, gli dà fogli e colori. Col tempo, quel bambino cresce e sogna New York. Riesce a raggiungere quella grande città e anche a inserirsi nell’ambito artistico, con un po’ di audacia. Quel ragazzo era Andy Warhol. Ecco: quelli che non sono “normali” non si accontentano. Fondamentale è la rabbia e la ricchezza che hai dentro e che vuoi tirar fuori, questo fa la differenza. Si chiama merito ed è una cosa che a molti non piace. Ma allora, per i nostri figli cosa ci aspettiamo? Che muoia il nonno per avere la casa?
Alcune settimane fa in Svezia il ministro all’Istruzione, donna, ha proibito le tecnologie nelle scuole dell’infanzia. Il loro utilizzo, si è notato, produce alcuni sintomi cognitivi come poca memoria, nervosismo, poca attenzione e concentrazione. Altro che “stiamo a casa e col visore giriamo il mondo”! La vita è fatta di esperienze, ma anche di scivoloni e angosce; ed è anche grazie a loro, a come si superano, che si esce dal coro. Non facendo quello che fanno tutti. Se metti in moto il pensiero, metti in modo la fantasia e quindi il desiderio e la passione.
Ai nostri ragazzi dobbiamo fornire una “immunologia psicologica” per avere un buon rapporto con l’imprevisto. Non si può infatti pensare che l’ansia sia solo quella negativa, c’è anche quella positiva, quella che ti fa arrivare 30 minuti prima alla stazione per non perdere il treno.
Allora, tornando a quelle uscite su pagelle e voti, perché non chiediamo al tennista Sinner di giocare senza punti, senza sapere se la palla è dentro o fuori, per evitargli l’ansia? La valutazione è una cosa orribile? No, è il giudizio la cosa più pericolosa.
Essere “fari”, non “amici”
Poi ci sono i genitori che vogliono essere più giovani dei figli, quasi fossero in gara con loro. I ragazzi non hanno bisogno di altri “amici”, vogliono un faro; ma, ahimè, sono certi genitori a non voler più responsabilità. Così però ci si espone al ridicolo, i ragazzi lo sanno e, quando avranno bisogno di qualcuno, sapranno di non poter contare su di noi. Sia chiaro: l’educazione non è democratica, i genitori hanno una responsabilità. Dobbiamo capire chi sono i nostri figli, parlare con loro: chi sei? cosa vuoi? E così deve fare la scuola, senza cercare scuse.
Educare è far capire le cose del mondo, capire che nella vita si può anche dire “no” ed essere quel che si è. Possiamo ricominciare dalla libertà, che è terapeutica. Insegniamo ai ragazzi che ognuno è artefice della propria libertà, e insegniamo loro anche a essere “cacciatori di orizzonti”, perché in fondo al percorso c’è la luce. Quella stessa luce, cerchiamola anche nei nostri figli.