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DAGLI OGM ALL’EXPORT, TUTTI I RISCHI DEL PATTO USA-UE

Piccole imprese, sovranità, regole: ecco perché il Ttip non è una buona notizia per l’Italia (da Linkiesta)

Il nome, prima di tutto: Ttip sta per Transatlantic Trade and Investiment Partnership. In italiano, “Accordo transatlantico per il commercio e gli investimenti”. In altre parole, è un trattato tra Stati Uniti d’America e Unione Europea per favorire gli scambi commerciali e produttivi nei due continenti attraverso l’abolizione di ogni dazio e la creazione di regolamentazioni nuove e uniformi. Pochi giorni fa, il premier italiano Renzi ne ha parlato come di una «scelta strategica e culturale» in grado di rilanciare la nostra economia, auspicando la ratifica dell’accordo entro la fine dell’anno e affermando che con questo trattato il Pil italiano potrà crescere da 1 a 4 punti percentuali, addirittura. Altri, in particolare i partiti e le associazioni ambientaliste, oltre ad alcune associazioni di consumatori, parlano del Ttip come di uno strumento molto pericoloso, che non solo cambierà per sempre il nostro modo di lavorare e consumare, ma che avrà effetti devastanti pure sulla nostra sovranità di cittadini. Inoltre, ricordano, le negoziazioni relative a questo trattato si stanno svolgendo nella più totale segretezza, precludendo ogni possibilità di azione politica per contrastarle. Sebbene le opinioni in merito siano diametralmente opposte, ciò su cui sia i sostenitori, sia gli oppositori concordano è la cruciale importanza del Ttip per il futuro dell’economia occidentale. Appare quindi altrettanto importante farsi un’idea di cosa sia, provando a fare chiarezza sui pochi fatti certi che per ora si hanno a disposizione.
Come e quando nasce il Ttip?
La storia del Ttip parte da lontano. L’idea di creare un’area di libero scambio grande quanto tutto l’Occidente nasce infatti nel 1995, ad opera di una lobby di nome Transatlantic Business Dialogue, cui aderiscono molte multinazionali. Di convegno in convegno, questa lobby – che nel frattempo cambia nome, diventando Transatlantic Business Council – si costruisce un po’ di sponde politiche nel Congresso americano e nel Parlamento Europeo. Tuttavia fino a qualche anno fa se ne parlava e basta. La crisi dei debiti e della domanda europea, convince soprattutto l’Europa che è il momento di passare dalle parole ai fatti. Come si legge sulla pagina web della Commissione Europea dedicata al tema, «la decisione di iniziare i negoziati è stata in larga parte determinata dal prolungarsi della crisi economica e dallo stallo dei negoziati multilaterali sul commercio del Wto, la cosiddetta Agenda di Sviluppo di Doha». L’accelerazione sulla sponda americana è stata impressa da Obama, che mira a creare due corridoi di libero scambio per i beni e i servizi americani, uno transatlantico e uno transpacifico. I lavori sono iniziati nel luglio del 2013, quindi. La loro fine, stando agli auspici di chi sta seguendo la questione, è prevista per dicembre 2014.
In che modo il Ttip favorisce il commercio?
Oggi, se si vuole esportare un prodotto negli Stati Uniti bisogna predisporsi al pagamento dei dazi. Ad esempio, un paio di scarpe italiane costerà al consumatore americano circa al 10% in più. In media, i dazi tra Usa e Ue sono oggi attorno al 4%. Col Ttip, queste barriere verrebbero abolite, permettendo di fatto la libera circolazione dei prodotti sulle due sponde dell’Oceano Atlantico. Non ci sono solo i dazi, tuttavia: spesso anche le diverse regolamentazioni e i diversi standard di sicurezza sono una barriera al libero scambio. Il caso degli obblighi richiesti ai produttori di automobili in relazione a sicurezza ed emissioni sono esemplificativi, in questo senso. Se tali standard fossero uniformati, la American Chamber of Commerce in Germany stima che il valore delle esportazioni di autoveicoli tedeschi negli Usa – che già oggi coprono il 9% di tutte le vendite di autoveicoli negli Usa – crescerebbe da 21 a 22 miliardi.
Perché le regolamentazioni sono così importanti?
La questione delle regolamentazioni riveste un’importanza cruciale soprattutto per quanto riguarda le questioni legati alla sicurezza, all’ecologia, alla salute. Pur essendo due economie in buona parti simili, l’approccio americano e quello europeo, su questi temi, differiscono e non poco. Ad esempio, le regolamentazioni su automobili e centrali elettriche in America sono molto più stringenti che in Europa. Le cose cambiano in relazione agli standard di sicurezza alimentare e alle politiche agricole. Banalizzando, in Europa vige il principio di precauzione: se c’è il dubbio che un prodotto alimentare faccia male, non può essere messo in vendita. Negli Usa, succede il contrario: se non v’è certezza che un prodotto faccia male, non viene proibito. D’altro canto, va detto anche che, in America, i controlli sulle poche regole in vigore sono molto più stringenti che da noi, dove invece le maglie sono più larghe e le frodi piuttosto frequenti. Insomma, la questione è spinosa perché uniformare i regolamenti vuol dire mediare (e giungere a una sintesi) tra due culture diverse.
Se passa il Ttip mangeremo carne clonata?
Il fantasma che si aggira per l’Europa – o meglio, tra gli ambientalisti europei – è che dai negoziati spuntino norme che consentano ai prodotti alimentari americani come ortaggi geneticamente modificati, carne agli ormoni e polli lavati nel cloro di fare la loro comparsa sugli scaffali dei nostri supermercati senza etichette che attestino tali trattamenti, consentiti negli Usa e (sinora) proibiti in Europa. Il timore è che l’Europa, per ammorbidire gli Usa sulle regolamentazioni, più stringenti che da noi, su automobili, macchinari e manifattura in generale, conceda un alleggerimento sull’etichettatura dei prodotti alimentari alla potente lobby dell’industria alimentare americana, o a distributori come Walmart che da sola ha un fatturato di 470 miliardi di dollari, poco meno di un quarto del Pil italiano. La Commissione Europea, dal canto suo, afferma con forza che «le leggi europee che riguardano ormoni o che proteggono la salute e la vita umana, il benessere, l’ambiente e gli interessi dei consumatori non saranno parte delle negoziazioni». Dal canto suo, l’ambasciatore americano in Italia Gardner ha dichiarato in un convegno che «senza un programma ambizioso sull’agricoltura è sicuro che Ttip non sarà approvato dal Congresso americano».
Chi beneficerà di un’area di libero scambio? Le multinazionali o le piccole imprese?
A beneficiare del Ttip saranno soprattutto le imprese multinazionali o comunque quelle che già hanno le dimensioni tali per esportare. Per loro si apriranno spazi ulteriori per poter vendere le loro merci altrove. Al contrario, le piccole imprese potrebbero soffrirne, in quanto con l’abbattimento di tutte le barriere daziarie si ritroverebbero a dover lottare contro più (e più convenienti) prodotti esteri. In Italia solo due imprese su cento hanno più di dieci addetti e solo cinque imprese su cento esportano. Peraltro, più di un quinto di tutte le esportazioni italiane sono a “corto raggio”, dirette cioé in Germania e Francia, nostri principali partner commerciali, paesi in cui le nostre imprese si troverebbero a dover fronteggiare la concorrenza Usa. Quindi è vero, il Ttip può essere un opportunità per quelle imprese – poche e grandi – che hanno i requisiti finanziari e la stazza per esportare gli Usa. Per tutte le altre, invece, potrebbe diventare un problema. Curiosità: la delegazione dei negoziatori europei è guidata dal tedesco Paul Nemitz. C’è qualche italiano tra loro? No, nessuno.
Cosa succederà se una legge nazionale entra in conflitto con il Ttip?
Questo è un tema molto meno dibattuto rispetto a quello sulle regolamentazioni alimentari, ma è altrettanto importante. Partiamo dall’inizio: già oggi esiste uno strumento che si chiama Isds, siglia che sta per Investor to State Dispute Settlement, che in italiano si traduce in “accordo per le dispute tra investitori e Stato”. Si tratta di uno strumento che tutela gli investimenti esteri nel caso che un Governo voglia arbitrariamente nazionalizzare taluni settori economici o proibire la vendita di determinati prodotti. Facciamo un esempio: a tale strumento potrebbe far ricorso una multinazionale produttrice di sigarette in Italia se il nostro governo decidesse di bandirle dai negozi. La Germania si è schierata apertamente contro l’introduzione dell’Isds all’interno del Ttip, in quanto ritiene sia una mossa che favorisca le multinazionali e indebolisce la sovranità degli Stati. Tuttavia, sia gli Usa che l’Ue vogliono inserire nel Ttip misure che proteggano gli investimenti all’interno del più ampio accordo euro-americano: «Includere misure per proteggere gli investitori non impedisce ai governi di far passare o abrogare le leggi – si legge sul sito della Commissione Europea -. Al massimo, può portare a dei risarcimenti da pagare alle imprese che fossero danneggiate da tali misure». Per l’appunto, torniamo all’esempio delle sigarette: l’Australia, qualche anno fa, ha promulgato una legge che impedisce ai produttori di mettere il loro logo sui pacchetti. In tutta risposta, la Philip Morris ha intentato una causa al governo australiano. Si parla di una richiesta di risarcimento nell’ordine di miliardi di euro. Anche in questo caso, la Commissione Europea afferma che le misure a protezione degli investimenti non riguarderanno il sostegno sociale, la salute e l’ambiente e che già esistono otto accordi tra gli Usa e Stati membri dell’Ue che tutelano gli investitori. Al netto di ogni rassicurazione, non è ancora chiaro, però, se e come questo trattato impatterà sulla nostra sovranità.
Perché i negoziati su un argomento così importante sono segreti?
Fino a qualche tempo fa, i negoziati sul Ttip erano classificati come segreti. Ora, almeno in parte, non lo sono più. Su iniziativa del governo italiano e, soprattutto, del Sottosegretario allo Sviluppo Economico Claudio Calenda, l’Unione Europea ha deciso di declassificare e di rendere pubblico il documento che contiene le direttive che ha dato ai suoi negoziatori. Diciotto pagine in cui si dice, ad esempio, che il settore audiovisivo non sarà incluso nei negoziati, per proteggere le specificità culturali europee. O che invece sarà oggetto della discussione una regola unica sulla proprietà intellettuale. O ancora, che una delle questioni in agenda è la piena mobilità dei capitali e delle fonti di energia – tra cui il famigerato shale gas americano – tra le due sponde dell’Atlantico. Il problema, semmai, è che mentre da noi le informazioni (ancora poche) stanno arrivando solo ora, le multinazionali americane, che schierano seicento consulenti del governo Usa, hanno pieno accesso di tutti i documenti prodotti sinora e possono, ovviamente, intervenire con i negoziatori.
Se Usa e Ue trovano un accordo, il Ttip diventa legge?
Sì. Stando al sito della Commissione, saranno il Parlamento Europeo e il Congresso Americano a ratificare il trattato, facendolo automaticamente diventare legge in ognuno degli Stati membri. Allo stato attuale, infatti, non è previsto che tale ratifica – o una ratifica ulteriore – spetti anche ai ventotto parlamenti nazionali dell’Unione. Forse è anche per questo che i nostri parlamentari non sembrano interessarsene granché.