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GLI EFFETTI DEL PIANO CASA NEL VENETO IL MERCATO SENZA PIANO CASA

-5,6% di ulteriore calo degli investimenti;
7.700 imprese e 11.700 posti di lavoro in meno

Se non ci fosse stato il Piano Casa, cosa sarebbe successo al tessuto imprenditoriale edile del Veneto? E quali effetti avrebbe potuto produrre questo intervento regionale se fosse stato applicato di più e in modo diverso dai Comuni?
Per rispondere a queste domande, Confartigianato Imprese Veneto ha presentato oggi in conferenza stampa a Mestre, alla presenza di Giuseppe Sbalchiero, Presidente Confartigianato Imprese Veneto, Paolo Bassani, Presidente Edili Confartigianato Imprese Veneto, Virginio Piva, Presidente CEAV, Federico Della Puppa, Economista di Theorema sas e Marino Zorzato, Vice Presidente e Assessore al Territorio, alla Cultura, agli Affari Generali Regione Veneto, i risultati di un rapporto sulla situazione del mercato delle costruzioni in Veneto con particolare riferimento al “piano casa” ed al suo stato di attuazione, sia dal punto di vista del numero di domande rilevate (circa 62 mila) che di lavori avviati (2,5 miliardi di investimenti attivati). E’ stato stimato infine l’impatto economico concreto che la norma ha avuto sul mercato e sul sistema delle imprese, oltre ai i possibili scenari in condizioni di applicazione diversa.
“Allungare il più possibile la validità del nuovo Piano casa –perfetto se fosse permanete-, semplificare le procedure relative alle demolizioni e ricostruzioni, introdurre un sistema di incentivi premiali che aumentino le potenzialità del piano ed il “volume minimo garantito” oltre ad una applicazione più uniforme nei vari Comuni onde evitare opportunità differenti per i cittadini”. Sono queste in estrema sintesi le richieste che Giuseppe Sbalchiero ha rivolto al Vice Presidente Marino Zorzato, in forza dei risultati dello studio sugli straordinari risultati ottenuti dai provvedimenti in quattro anni.
“Grazie agli osservatori della Regione Veneto e di CEAV –ha spiegato il Presidente-, abbiamo stimato che in assenza del piano casa nel triennio 2010-2012, il settore delle costruzioni nel Veneto avrebbe avuto una ulteriore flessione, rispetto a quella già molto significativa riferita al periodo 2008-2012, che sarebbe passata dal -14,2% del totale degli investimenti (in valori correnti) del 2012 rispetto al 2008 ad un ben più pesante -19,8%. Un tracollo quantificabile il 2 miliardi di euro in meno di investimenti che sarebbero costati la chiusura di 7.700 imprese e la cancellazione di 11.700 addetti. Valori da aggiungere ai cali registrati. Un volano economico straordinario per di più a costo zero per le casse della Regione e dello Stato. E non solo –ha proseguito Sbalchiero-. Se tutti Comuni avessero proceduto con un rafforzamento del provvedimento invece che penalizzarlo (il 74%, ha recepito la norma applicando limiti), rispetto alle volumetrie complessivamente messe in gioco dal piano casa 1 e 2, si potrebbe contare almeno un 40% – 50% in più di richieste e, conseguentemente, un incremento dei volumi di riferimento, pari ad un aumento del giro d’affari valutabile prudenzialmente nell’ordine di 1 miliardo di euro”.
“Numeri straordinari –ha concluso Sbalchiero- che offriamo a tutti i consiglieri regionali affinché, dopo l’approvazione del provvedimento in 3a Commissione, li tengano in debito conto in fase di definitiva approvazione nel corso del prossimo Consiglio Regionale”.
 
Un impatto economico rilevante
Si può ragionevolmente affermare che in assenza del piano casa nel triennio 2010-2012 il settore delle costruzioni nel Veneto avrebbe avuto una ulteriore flessione, rispetto a quella già molto significativa riferita al periodo 2008-2012, con una dinamica che sarebbe passata dal -14,2% del totale degli investimenti (in valori correnti) del 2012 rispetto al 2008 ad un ben più pesante -19,8%.
In particolare, le elaborazioni e le proiezioni realizzate sulla base dei valori desunti dall’Osservatorio CEAV mettono in evidenza che il settore del recupero e del rinnovo avrebbe potuto perdere complessivamente il -7,0%, rispetto al dato reale di lenta crescita nel quinquennio, pari al +5,8%.
Gli effetti sul mercato di tale potenziale “mancato” giro d’affari avrebbero potuto essere molto più gravi, dunque, sia in riferimento alla dinamica delle imprese, che rispetto alla dinamica dell’occupazione. Considerando infatti l’andamento del mercato reale e confrontandolo con la dinamica delle Imprese e dell’occupazione, emerge che nel periodo 2010‐2012, nel quale il piano casa ha sviluppato circa 2 miliardi di investimenti nel recupero e nella riqualificazione edilizia per lo più residenziale, il sistema delle costruzioni nel Veneto ha perduto 3.155 imprese e 13.654 addetti.
Se non ci fosse stato il piano casa è possibile stimare, a parità di condizioni e di effetti sul mercato, che la perdita per il settore sarebbe stata ben più consistente. Infatti utilizzando come stimatori il rapporto tra imprese e fatturato e tra addetti e giro d’affari complessivo, si può ipotizzare, con ragionevole certezza, che la perdita sarebbe stata ben più consistente: -10.800 imprese e -25.300 addetti.
In sostanza si può affermare che il piano casa nel Veneto ha garantito ad almeno 7.700 imprese di poter operare sul mercato nonostante il periodo di crisi e ad almeno 11.700 addetti di mantenere il proprio livello occupazionale.
 
Un impatto ambientale nullo
Un altro elemento da considerare è l’impatto minimo e trascurabile sul territorio.
Oltre al fatto che, evidentemente e senza alcuna ombra di dubbio, il provvedimento non consuma suolo e dunque non contribuisce all’espansione edilizia e urbana, i dati complessivi riferiti alla distribuzione territoriale delle domande indica un impatto trascurabile anche in termini di “densità” degli interventi.
Infatti il numero complessivo di domande alla fine di luglio 2013 porta il totale a 62.000, pari ad un impatto di 3,4 istanze per kmq e 12,7 domande ogni 1.000 abitanti, per una media complessiva di poco più di 100 istanze per comune.

E se fosse stato applicato di più e in modo diverso dai Comuni
Dal punto di vista delle modalità applicative, solo il 13% dei comuni della Regione ha introdotto ulteriori incentivi, sotto forma di riduzione del contributo di costruzione o di esenzione parziale o totale da oneri. La maggior parte dei comuni, ben il 74%, invece ha recepito la norma applicando limiti agli ampliamenti e alle demolizioni e ricostruzioni con aumento di volumetria o superficie coperta. Limitazioni che hanno di fatto creato una applicazione a “macchia di leopardo”.

La differenza sostanziale nell’applicazione della norma viene dalla lettura delle dinamiche legate alle domande complessive per interventi da attuarsi attraverso il piano casa 1 e 2, e
In particolare le quantità e le tipologie di interventi richiesti.
Considerando un campione di 9 comuni “incentivanti” e 9 “non incentivanti”, con analoga distribuzione territoriale e quantità complessiva di popolazione, le analisi delle indagini effettuate direttamente presso i comuni evidenziano che:

  • i comuni “incentivanti” hanno avuto un risultato migliore del 60% in termini complessivi di domande presentate;
  • il rapporto tra domande e popolazione nei comuni “incentivanti” risulta essere pari a 19 ogni 1000 abitanti, contro 12 dei comuni “non incentivanti”;
  • il rapporto tra domande relative all’art.3 comma 3 rimane più elevato nei comuni “incentivanti” con uno scarto positivo del 25% e un peso in termini percentuali sul totale delle volumetrie residenziali del 6%, contro il 4,5% dei comuni “non incentivanti”.
A quasi quattro anni dall’entrata in vigore delle norme relative all’ampliamento e riqualificazione energetica degli edifici, mette in evidenza che laddove i comuni hanno proceduto a rafforzare il dispositivo della legge regionale la risposta in termini di domande e di volumetrie è arrivata e, con essa, una migliore attivazione economica di opere e lavori per le imprese del settore.
Se, e solo se, tutti i comuni avessero proceduto con un rafforzamento del provvedimento, probabilmente si potrebbero constatare valori simili in termini generali, ovvero rispetto alle volumetrie complessivamente messe in gioco dal piano casa 1 e 2, si potrebbe contare almeno un 40% –  50% in più di richieste e, conseguentemente, un incremento dei volumi di riferimento, pari ad un aumento del giro d’affari valutabile prudenzialmente nell’ordine di 1 miliardo di euro.