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IL 100% MADE IN ITALY NOSTRO OBIETTIVO

Il fondo di Marino Munerato Presidente dei Calzaturifici di Confartigianato Imprese Veneto su “La Conceria”

E’ davvero incomprensibile, almeno ai miei occhi. Stiamo vivendo una fase congiunturale difficilissima non solo per l’Italia ma per l’Europa nel suo complesso. Calo dei consumi, tensioni geopolitiche, aggressività commerciale delle produzioni asiatiche, indiane, africane e chi più ne ha più ne metta. Una stagione difficile dicevo, che dura da quasi sette anni. Un lasso lunghissimo di tempo che, almeno per la calzatura, prodotto di cui mi occupo direttamente e di cui ho la responsabilità della rappresentanza nella Confartigianato Veneto, ha fatto emergere chiaramente non si tornerà indietro. Siamo nel bel mezzo di una transizione epocale e chi non lo capisce, e si adegua, è destinato a scomparire. Ed è nella lettura di cosa “funziona e funzionerà in futuro” che nasce la mia costernazione nel comportamento generalizzato di molte imprese/brand italiani, spesso di grandi dimensioni, nel fare di tutto per mettere in pericolo la reputazione delle lavorazioni italiane. Mi spiego. E’ chiaro che, a fronte di una delocalizzazione sempre più facile e conveniente, di fronte ad una massificazione del prodotto ed alla riduzione del suo prezzo, di fronte a sempre nuovi competitors, i mercati del lusso e del personalizzato su misura sono la “prateria mondiale” nella quale dobbiamo puntare noi calzaturieri italiani e veneti in particolare. Abbiamo pure la fortuna che, malgrado la scarsa capacità del Sistema Italia di comunicare i propri punti di forza in maniera efficace e la totale mancanza di volontà della classe politica italiana di valorizzare/differenziare le produzioni realmente fatte in Italia, il brand Made in Italy rappresenta ancora oggi una vera e propria infrastruttura immateriale, in grado di proiettare all’estero le imprese italiane. Il Made in Italy, inteso non solamente come produzione localizzata nel nostro Paese, ma come percezione del prodotto nel suo insieme, rappresenta un asset che ha notevoli potenzialità, non a caso, senza alcuna campagna pubblicitaria è percepito come terzo marchio più noto al mondo dopo Coca-Cola e Visa. Secondo dati forniti da Google, tra il 2006 e il 2010 le ricerche on line con keyword Made in Italy sono cresciute del 153%. Un patrimonio quindi, che però noi italiani rischiamo di banalizzare se non distruggere. Nell’era della concorrenza globale, del mercato on line, infatti, la reputazione è un elemento fondamentale per distinguersi e consolidare le quote di mercato. E’ chiaro quindi che: prodotti contraffatti, prodotti con etichetta ingannevole, prodotti volutamente venduti con la parolina italia ma che di italico hanno ben poco solo per forviare ed ingannare il consumatore, regole doganali comunitarie troppo permissive sul numero di lavorazioni da realizzare all’estero (il made in europeo), rovinano la reputazione dei nostri prodotti e penalizzano soprattutto che produce veramente in Italia e che, non avendo strumenti per differenziarsi, non riesce a far valere il valore aggiunto del proprio business. In un mercato sempre più competitivo per le aziende e meno trasparente per il consumatore diventa prioritaria una tracciabilità di filiera. Indispensabile per garantire trasparenza nei confronti del consumatore ma anche per soddisfare i sempre più complessi capitolati d’acquisto dei committenti o le nuove esigenze dei mercati. In attesa che l’Unione Europea prenda una decisione in merito all’obbligatorietà del made in (detto tra noi trovo improbabile che il Consiglio d’Europa dia un OK definitivo alla partita), noi italiani abbiamo un’altra opportunità: marcare i nostri prodotti in base alla legge 166 del 2009 che, all’articolo 16, ha istituito il 100% made in Italy. Di fatto una certificazione volontaria per i soli prodotti il cui disegno, la progettazione, la lavorazione e il confezionamento siano effettuati integralmente in Italia. Una opportunità interessante se si considera che il regime sanzionatorio, in caso di utilizzo fraudolento, è non solo pecuniario ma anche penale. Il risultato atteso è quello di salvare la nostra economia e la nostra produzione industriale. Noi artigiani ci crediamo, alcuni imprenditori industriali illuminati pure. Ma non basta. Serve un nuovo deal in cui credere tutti. Molte speranze le ripongo nel Tavolo Veneto della Moda, il coordinamento regionale, unico in Italia, che vede assieme Confartigianato Cna Confindustria Confesercenti e Confcommercio. Un luogo in cui affrontare il tema, anche per la calzatura. Speriamo.