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L’importanza strategica delle materie prime per l’Italia e l’Europa

“L’importanza strategica delle materie prime per l’Italia e l’Europa”. È stato questo il titolo di un focus che Confartigianato Imprese Vicenza ha proposto su uno dei temi che è – e sarà sempre più – al centro dell’attenzione politica ed economica.

È quella che Paolo Gila, giornalista economico finanziario della Rai Milano, ospite del convegno, definisce la “geopolitica delle materie prime” nel suo libro, scritto con Maurizio Mazziero, intitolato “Le mappe del tesoro” (ed. Hoepli). È questa la vera sfida del prossimo futuro, dato che dalle materie prime dipendono interi settori produttivi, e Paesi come il nostro.

Con intelligenza e capacità, anche attraverso le imprese dell’artigianato, l’Italia è un grande trasformatore di materie prime, pur non possedendone. Quindi l’affidabilità della catena per l’approvvigionamento è “il” tema del futuro. 

Lo sanno bene anche le piccole aziende che hanno dovuto fare i conti, e in parte li stanno ancora facendo, con i prezzi in risalita proprio delle materie prime e con i costi delle forniture energetiche. Combustibili, metalli e terre rare rappresentano infatti le basi per lo sviluppo di molte imprese, anche in chiave di innovazione, e non mancano le implicazioni legate alle produzioni di alcuni prodotti alimentari. C’è un totale di 34 materiali (di cui 17 terre rare, indispensabili per la transizione energetica) di cui il Vecchio Continente ha bisogno ma che non possiede, e per avere i quali deve necessariamente rivolgersi ad altre realtà, con cui magari costruire da zero rapporti politico-diplomatici ed economici, o dove la situazione interna è instabile. 

Negli ultimi quattro anni, due sono stati gli episodi caratterizzanti: il Covid e la guerra russo-ucraina (con le ripercussioni sulle forniture di gas, ma anche di prodotti agricoli come il grano o l’olio di girasole). Da qui la necessità non solo di trovare materie prime, ma anche secondo la quantità necessaria e a un prezzo adeguato. In un contesto internazionale in divenire, e comunque diverso da appena cinque anni fa, si va verso una “specializzazione” delle nazioni. Siamo in una fase storica di profondo cambiamento rispetto al mondo come lo abbiamo conosciuto fino a oggi; con Paesi che fino a poco tempo fa erano ai margini dell’economia e ora sono destinati a superare realtà come Italia, Francia, Germania (è il caso della Nigeria). 

I Paesi “forti” che prenderanno le decisioni influenzando l’economia globale non sono più quelli di un tempo, i decisori stanno cambiando: Cina e India sono destinati a crescere e decideranno per noi, per il Vecchio Continente, ribaltando i rapporti di forza.
Intere filiere di produzione, quindi, devono cambiare passo e ottica, altrimenti sono destinate a soccombere. Mutando la planimetria mondiale è naturale che cambi anche il modello produttivo, e con esso quello demografico, che modifica i rapporti: prima lo si capisce, prima si reagisce.
Tutto ciò porta a un cambio dello scenario. Il gruppo BRICS raggruppa le economie mondiali emergenti (Brasile, Russia, India e Cina), cui si sono aggiunti nel 2010 il Sudafrica e nel 2024 Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran (nel 2024). Questa nuova realtà ha accumulato molto potere, arrivando a rappresentare a livello mondiale più del 40% dell’economia e più del 40% della popolazione: una realtà composta da Paesi non più disposti a farsi sfruttare, ma a mettere a frutto le ricchezze che possiedono. E a unire i BRICS c’è anche la volontà di far scendere il dollaro dal piedistallo creando una sorta di “economia parallela” rispetto a quella fino ad ora conosciuta, e imperniata sullo spazio euro-asiatico. 

È evidente quindi che il mondo si sta “dividendo” tra Occidente e Oriente, con quest’ultimo che detiene molte delle materie prime, soprattutto le terre rare, componenti essenziali per le nuove tecnologie. Se uno di quei Paesi decidesse di bloccare le esportazioni, o mettere dazi, o creare difficoltà di qualsiasi genere, il rischio è uno stop della produzione (vuoi per quantità che per costi delle materie). L’esempio è la Cina: di solito, la compravendita di materie prime avviene tra grosse società internazionali ma la Cina, rifacendosi a una norma del 1969 delle Nazioni Unite, ha deciso che il prezzo delle materie prime lo fissa il governo.
Si arriva così a una sfida epocale: cioè che l’Europa deve tornare a essere potenza tra le potenze, adottando una visione ampia, diventando un luogo in cui i Paesi membri possano esprimere le loro istanze per poi trovare adeguate soluzioni. La strada maestra è, quindi, la diplomazia.
L’Italia, da parte sua, deve iniziare a fare una mappa delle miniere che può avere a disposizione, pensando anche a politiche di recupero e riciclo di quelle materie che si possono recuperare da elementi di scarto. Combustibili, metalli e terre rare rappresentano le basi per lo sviluppo di molte imprese, anche in chiave di innovazione e sostenibilità. 

Che quindi il mondo sia in guerra o in pace, mono o pluripolare, questa è la situazione, e la conoscenza delle dinamiche mondiali è fondamentale anche per le imprese. Va anche detto, infatti, che “materia prima” non è solo produzione, ma pure trasformazione attraverso la conoscenza, ed è su questo che il settore produttivo del nostro Paese deve puntare. 

(sunto dell’intervento di Gila)

Nel corso del convegno è intervenuto anche Gianclaudio Torlizzi, consigliere del Ministero della Difesa per le materie prime critiche, nonché Membro del Comitato scientifico del Policy Osbservatory Luiss SoG. Descrivendo la situazione internazionale, il relatore l’ha sintetizzata così:
una situazione esplosiva in Medio Oriente, una guerra russo-ucraina caratterizzato dal “tifo” per una o l’altra fazione, una finanza compiacente e le imprese un po’ meno. E, soffermandosi sulle recenti crisi energetiche e sulla transizione verso la sostenibilità, ha ricordato che quest’ultima è un atto di politica economica, ma non tiene conto delle implicazioni sulle materie prime.