Imprenditoria femminile a Vicenza: 30 anni di Movimento Donne Impresa
A fine 2024 il Movimento Donne Impresa ha festeggiato i primi trent’anni dalla sua costituzione. Una tappa importante per una realtà nata in seno a Confartigianato Vicenza con l’intento di approfondire le tematiche legate all’imprenditorialità e al lavoro femminili.
“In questi tre decenni di attività – spiega Sabrina Pozza, presidente provinciale del Movimento -abbiamo visto letteralmente il mondo cambiare, e con esso anche la percezione della presenza femminile nel mondo produttivo. Ora nuove sfide ci attendono, a partire della parità di genere nei riconoscimenti economici e da sistemi di welfare che permettano di conciliare davvero famiglia e lavoro. È quindi importante capire di più e meglio come si possa operare tutti assieme per questi obiettivi, nell’interesse della comunità in generale e del mondo dell’impresa in particolare”.
Imprenditoria femminile: i numeri
I dati dell’Ufficio Studi Confartigianato raccontano uno spaccato dell’imprenditoria femminile che a fine 2023 nel Vicentino contava 15.802 aziende, pari al 20% delle imprese totali, di cui 3.885 artigiane, con un’incidenza sul totale artigianato pari al 17%. Sempre a fine 2023, a livello provinciale erano 7.105 le donne a ricoprire cariche imprenditoriali nell’artigianato, rappresentando così il 23,2% delle persone con tale profilo, quota leggermente più alta di quella registrata a livello regionale (22,5%).
Passando ai dati nel lungo periodo, si nota che le donne imprenditrici segnano una contrazione del 3,2% rispetto al 2019, variazione però più contenuta del -5,6% registrato dai colleghi maschi nello stesso lasso di tempo. Si osserva anche un’altra differenza: le imprenditrici titolari crescono dello 0,7% negli ultimi 4 anni, mentre i titolari uomini sono in calo del 4,4%. Per le donne, anche nel lungo periodo, l’unica carica ricoperta che registra una flessione è quella di socio (-18,3%), variazione più contenuta del -26,7% delle analoghe figure maschili.
Dalle imprenditrici alle collaboratrici: in provincia di Vicenza sono 167.316 donne occupate, con un tasso di occupazione pari al 62,3%, pari a 15 punti percentuali inferiore a quello maschile. Dall’Ufficio Studi di Confartigianato sull’occupazione dipendente nell’artigianatosi osserva inoltre una maggiore dinamicità per le donne lavoratrici, che nel post pandemia hanno mostrato crescite ben più intense rispetto a quelle osservate per i colleghi maschi. In particolare nel 2023, a fronte di una sostanziale invariabilità dei dipendenti uomini, le donne crescono del 3,3% rispetto al 2022.
Complessivamente quindi, stando ai dati Istat sull’occupazione per genere e posizione professionale disponibili a livello regionale, in Veneto l’occupazione femminile è fortemente cresciuta negli ultimi 4 anni, segnando un +5% rispetto al 2019, anno pre-pandemia. Tuttavia, si rileva che la crescita è dovuta esclusivamente alle occupate dipendenti, aumentate del 7,7% rispetto al 2019, mentre le occupate indipendenti sono calate del 9,8% nello stesso periodo. Dinamica simile, ma di intensità ben più contenuta, per gli uomini: l’occupazione maschile è salita del 2,1% rispetto al 2019, variazione che è sintesi di una crescita del 3,1% dei dipendenti maschi e di una leggera contrazione (pari a -0,7%) degli indipendenti.
Se Vicenza avesse il tasso di occupazione femminile di Bologna (pari a 69,4%, il più alto in Italia) ci sarebbero 19.040 occupate in più, di cui 2.542 imprenditrici o lavoratrici autonome, e si creerebbe una maggior ricchezza per 1,3 miliardi di euro, con una crescita del valore aggiunto del 4,6%.
Istruzione e carriere
Altro fronte è l’incidenza dell’istruzione sulle carriere lavorative delle donne. Il primo dato rilevato è che le donne sono più performanti nello studio: infatti, in Veneto tra i 30-34 anni la quota di donne laureate è pari a 40,9%, contro i 25,4% degli uomini. Questo consente loro di cogliere più occasioni nel mondo del lavoro: si osserva, infatti, una correlazione a livello regionale tra quota di laureate e tasso di occupazione femminile. Tuttavia, nel mondo del lavoro prevalgono ancora condizioni migliori per gli uomini: la quota di donne sovra-istruite rispetto alla professione svolta è del 30,5%, contro il 25,7% tra gli uomini.
Divario retributivo
Un dato che restituisce la persistenza di differenze si ritrova nel “divario retributivo di genere” riguardante cioè la retribuzione oraria lorda, che in Italia è del 4,3%, contro una media europea del 12,7%, e che in Veneto è del 23%. Focalizzandoci, invece, sul salario annuale medio percepito, in Italia si arriva al 43%, contro la media europea del 36,2%. Questa differenza salariale dipende anche dal basso tasso occupazionale delle donne, su cui grava maggiormente (se non totalmente) il lavoro di cura familiare, che costringe molte donne a scegliere di lavorare part-time o di non lavorare affatto.
Questo aspetto è solo uno dei tanti fattori che si intersecano nel fenomeno del Gender Pay Gap, come emerge dalle ricerche in azienda compiute dall’Istituto Veneto per il Lavoro, ente di formazione di Confartigianato Imprese Veneto, nell’ambito del progetto P.A.R.I. (Progetti e Azioni di Rete Innovativi per la parità e l’equilibrio di genere) del Programma regionale FSE.
I risultati di queste ricerche, che indagano tanto gli aspetti economici quanto quelli socioculturali, sono stati presentati alla Fondazione Forte Marghera a Mestre in occasione di un momento di restituzione delle evidenze emerse durante “Incroci di Genere”, il progetto P.A.R.I. di IVL.
I commenti
Per Paolo Gubitta, professore di Economia all’Università di Padova, “se non si cambiano modelli organizzativi e prassi di gestione che vadano verso la parità di genere, si perde di competitività. La certificazione offre un metodo, aiuta l’azienda a misurarsi e ad avviare percorsi di cambiamento. Fondamentale è abilitare i comportamenti attraverso il welfare aziendale da costruire sulle necessità dei lavoratori”.
Irene Lovato Menin e Silvia Oliva, ricercatrici dell’Università di Padova, hanno presentato rispettivamente le ricerche “Gender Pay Gap: stereotipi e aspetti sociologici che ostacolano la parità retributiva” e “Gli aspetti economici del Gender Pay Gap. Buone pratiche nelle imprese certificate”. Lavori da cui si capisce che non è sufficiente riuscire a raggiungere, seppur con difficoltà, i ruoli apicali: ciò che emerge dalle ricerche è che le discriminazioni di genere persistono, e il gap retributivo continua a riflettere questa disparità. Eppure, i dati dicono che la buona occupazione femminile è qualcosa da cui può trarre vantaggio l’intero sistema economico e produttivo: il Fondo Monetario Internazionale conferma che la presenza delle donne nel mercato del lavoro aumenta il PIL, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro dimostra che la presenza femminile nei ruoli senior aumenta il fatturato del 5-20% e, infine, il National Bureau of Economic Research indica che la natalità cresce con l’aumentare dell’occupazione femminile.
“Tra le buone pratiche da applicare in azienda per diminuire questo divario – indica Lovato Menin – possiamo elencare una formazione specifica sulle tematiche di genere, l’adozione di modalità di segnalazione anonima delle discriminazioni subite, di provvedimenti disciplinari in caso di atti discriminatori e la consulenza di una persona responsabile delle risorse umane in azienda”.
Silvia Oliva, poi, sottolinea come una delle azioni più efficaci sia proprio la Certificazione di Parità di Genere, “che garantisce una maggiore competitività e sostenibilità dell’impresa nel medio periodo, risponde alle esigenze dei clienti, che sono sempre più sensibili a questo tema, aumenta l’attrattività dell’azienda stessa, previene e diminuisce le controversie”.
All’interno dell’azienda, dunque, è fondamentale definire un piano di crescita che sia finalmente privo di stereotipi di genere e mirato a costruire un ambiente di lavoro sempre più equo esempre più prospero.