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Impresa-Associazione-Europa: modello di un sistema produttivo vincente

Lucio Poma, capo economista di Nomisma, intervenendo all’Assemblea di Confartigianato Vicenza ha sottolineato come la triade Impresa-Associazione-Europa costituisca una leva cruciale per lo sviluppo futuro delle stesse aziende, del tessuto economico e dell’economia continentale nel suo complesso.

Se l’Italia, da tre anni a questa parte, vanta una storica progressione di dati positivi sul PIL, il motivo sta nel suo sistema produttivo unico al mondo. 

Di questo l’Europa deve prendere atto, e capire che sostenere il mondo della piccola e media impresa e dell’artigianato va a vantaggio di tutta l’Unione. Per farlo, però, c’è bisogno di una vera politica industriale, cosa che da tanti anni non si fa.

ECCO L’INTERVENTO

Il prof. Poma ha diviso la sua riflessione in due macro-temi. Li riassumiamo.

Europa e ruolo dell’Associazionismo

Affrontare il tema dell’Europa nei suoi rapporti con le imprese e le loro organizzazioni di rappresentanza non è così scontato ma è importante, soprattutto perché oggi una singola azienda non può accedere ai fondi comunitari, ai progetti, ai sostegni europei. Non può farlo semplicemente perché partecipare ai bandi e rendicontarli è un mestiere. E se da sola un’impresa non ce la fa, allora cosa scopre? O meglio, riscopre? L’Associazione. Questo è un passaggio molto importante. 

Un tempo il pezzo forte dell’associazionismo era l’azione sindacale, la difesa degli interessi dei suoi associati, attività che poi sono diventate servizi. Oggi l’Associazione, attraverso l’Europa, riprende il suo ruolo di collante del territorio. È un passaggio cruciale: cruciale per le sfide che ci attendono, cruciale perché è vero che l’Europa viene vista anche come fonte di cofinanziamento, ma il vantaggio non è solo lì, non solo nelle risorse economiche. 

Le imprese che hanno partecipato ai bandi europei, infatti, sono imprese che hanno aperto la loro mente. L’idea dell’Europa è quella di collegare e aprire. Quindi, un’impresa che inizia ad affrontare questo percorso insieme all’Associazione è un’impresa che sarà diversa, che sarà più aperta. Aggiungo che mi piacerebbe che tra quei progetti ce ne fossero anche ‘di gruppo’, quindi non solo finanziamenti per la singola impresa, ma anche per cluster di imprese. Dalla collaborazione, infatti, nasce un vantaggio che non è solo di mercato, ma vuol dire comprendere in anticipo quello che verrà. La digitalizzazione, o gli standard ESG (che saranno sempre più ‘di filiera’), diventeranno ben più di una variabile, sono prospettive che l’Europa aiuta a cavalcare attraverso l’associazione. Per cui, più che uno spauracchio, un problema, una paura, esse diventano opportunità. 

E anche alla stessa Associazione è richiesto un cambiamento, che pian piano si sta facendo, perché accompagnare le imprese in un percorso di apertura vuol dire che la stessa Associazione si deve aprire, inserendo nuove competenze: alcune coltivate all’interno, altre esterne. Perciò, se l’Associazione deve accompagnare le imprese in Europa, deve essere essa stessa in Europa. 

Europa e Piccole Imprese

L’Europa dev’essere più attenta alle PMI e all’artigianato italiano perché fin qui li ha dimenticati? Io penso che l’Europa debba rivolgere più attenzione alle piccole e medie imprese italiane perché le conviene. Ripeto: le conviene. Più che un fatto di equità, è un fatto di convenienza. E spiego perché. Purtroppo, è passato sottotraccia quello che ha fatto questo nostro Paese negli ultimi anni. Per dieci lunghi anni l’Italia non è cresciuta, poi c’è stato il Covid, ma nel 2021 questo Paese è sbocciato, diventando quello che è cresciuto più di tutti. Qualcuno ha imputato questo al ‘rimbalzo’ post Covid, però nel 2022 il nostro Paese ha chiuso con un 3,7% di Pil: più di quello della Cina, più di quello degli Stati Uniti, più del Pil della media UE, più del Pil del mondo. Nel 2023 l’Italia ha chiuso con uno 0,9%, rimanendo comunque superiore alla media UE. Cioè, è da tre anni che questo Paese performa meglio della media UE, quando per oltre un decennio facevamo la metà di quella media ed eravamo il fanalino di coda dell’Unione. Nel primo trimestre 2024 abbiamo fatto 0,3%, e di nuovo l’Italia ha performato meglio anche della Germania, che ha chiuso il 2023 in recessione.
Ora, la domanda che ci si deve porre è: perché questo Paese non per un anno, non per due, ma per tre anni abbondanti è diventato il punto di riferimento dell’Europa? Se escludiamo il secondo trimestre 2023, dove abbiamo fatto -0,3%, l’Italia ha inanellato 14 trimestri successivi di crescita.
La risposta alla domanda sta nel modello produttivo del nostro Paese. Un modello unico: non esiste al mondo un sistema produttivo organizzato come il nostro. Il vero Made in Italy non sono i brand, ma questo sistema. Un sistema che io chiamerei “delle filiere” ed è importante sottolinearlo, perché se parliamo di filiere non c’è più la contrapposizione tra grande e piccola impresa: c’è solo, appunto, la filiera e il territorio. Altro aspetto: questo sistema di filiere non ha dato al nostro Paese più flessibilità, per cui si è adattato meglio. No, questo sistema ha dato all’Italia la possibilità di innovarsi, di comprendere il futuro prima degli altri, molto prima della rigidità tedesca.
Allora, se questo è il sistema da seguire in Europa, l’Europa deve necessariamente inserire nei suoi programmi le piccole e medie imprese e le imprese artigiane. E lo deve fare perché il sistema produttivo italiano si è dimostrato essere un modello vincente in un momento di incertezza, incertezza che resterà a lungo. Quindi, io andrei in Europa a bussare non per chiedere se si è dimenticata di noi, ma per dire “cara Europa guarda i fatti, guarda cosa ha fatto l’Italia, guarda cos’è il modello produttivo italiano e sostienilo, perché questo va a vantaggio di tutti gli Stati membri”.

Conclusioni

Quindi è importante l’Europa? Sì, se parliamo di filiere, dove le piccole e medie imprese non sono più tali, perché fanno parte delle filiere su molti progetti. Anche per questo non si può più ragionare in termini regionali: molte filiere trascendono il Veneto, vanno in Emilia, Lombardia, e viceversa. Di conseguenza bisogna muoversi su geometrie variabili e comprendere come lavorare insieme per tale dinamica. Questo non è qualcosa che può venire dal mercato, ma ha un nome preciso: si chiama politica industriale. Da tempo non se ne vede una, e credo che oggi si debba tornare a farla per il futuro del Paese.