Skip to main content







Imprese e accesso al credito, resta il peso delle garanzie

Luigino Bari

Negli ultimi cinque anni, le prime cinque banche italiane hanno tagliato i crediti alla clientela di 180 miliardi e i nuovi requisiti di patrimonializzazione richiesti dalle regole di Basilea 3 fanno pensare che questo preoccupante trend sarà molto difficile da invertire.

Sta cercando di farlo la BCE di Mario Draghi con una serie di misure ad hoc, tre in particolare alcune già operative.
Le imprese, che vivono i noti problemi di accesso al credito, leggono con fiducia di tali possibilità e chiedono quindi di beneficiare delle facilitazioni che, a cascata, dovrebbero passare dalla BCE alle banche e quindi all’economia reale. Purtroppo, però, la maggior parte delle attese è finora rimasta delusa. Il motivo principale pare essere sempre quello: la garanzia. Se diversi sono gli attori chiamati ad attuare le misure BCE, nessuno vuole correre rischi.
Ma quali sono le misure tese a facilitare la concessione del credito?
La prima, già operativa, si chiama LTTRO (Long Term Targeted Refinancing) e consiste in una vera iniezione di denaro da parte della BCE a favore delle banche dato che queste, quando hanno aperto i rubinetti della liquidità, l’hanno fatto richiedendo anche oltre 10 punti di spread; la BCE quindi ha deciso di intervenire perché esse attingano a risorse comunitarie di credito agevolato. Il tasso di sconto della BCE oggi è al minimo storico (0,05%), perciò le banche hanno potuto pagare il denaro allo 0,15%, con la condizione di erogarlo a imprese e famiglie a tassi molto bassi. L’iniziativa ha avuto un successo parziale, le banche hanno utilizzato circa metà dei miliardi offerti. Inoltre, per effetto del filtro del rating bancario e dei filtri di accesso al Fondo Centrale di Garanzia, il credito è arrivato solo alle imprese di ottimo standing, mentre tutte quelle (cioè la maggior parte) che vivono le difficoltà del momento e si trovano con qualche criticità di bilancio sono rimaste a bocca asciutta, o a fronteggiare i soliti spread proibitivi. Neanche tutte le risorse sono state impiegate dalle banche perché, piuttosto che incorrere nel rischio di avere crediti deteriorati, esse hanno preferito “parcheggiare” la liquidità in titoli di Stato.
Dato quindi che solo una parte dell’economia ha beneficiato della misura LTTRO, la BCE ne ha messa in campo un’altra, gli ABS (Asset Backed Securities), ovvero bond derivati dalle cartolarizzazioni, sempre allo scopo di finanziare le imprese “aiutando” le banche a liberarsi dei tanti crediti per i quali la legge costringe a onerosi accantonamenti di liquidità.
La misura consiste nella vendita da parte delle banche di un pacchetto crediti a una società creata ad hoc, che emette obbligazioni ABS, cioè titoli garantiti da asset. Tali obbligazioni vengono acquistate da vari operatori di mercato (banche, fondi pensione, assicurazioni) e in tal modo la società raccoglie denaro fresco. Chi acquista le obbligazioni fonda la fiducia d’essere rimborsato del capitale e degli interessi di cedola dalla capacità di restituzione dei debitori del pacchetto crediti delle banche. Ciò porta liquidità alle banche da concedere a imprese e famiglie, liquidità che la BCE ora intende alimentare ulteriormente acquistando lei stessa, in buona parte, le obbligazioni ABS. Però le obbligazioni sono di rischio differenziato, in particolare di tre tipi: senior, mezzanine e junior, rispettivamente a basso, medio e alto rischio di rimborso. La BCE vorrebbe acquistare le obbligazioni ma evitando di incorrere in perdite, per cui è disponibile all’acquisto delle senior, cioè quelle dietro cui stanno debitori ben solvibili, capaci di garantire per se stessi. Acquisterebbe anche le mezzanine, però a condizione di avere una garanzia di Stato: ciò significa che eventuali perdite verrebbero spalmate sui cittadini, probabilmente sotto forma di nuove tasse o di nuovo debito pubblico. Questa misura è già in fase di realizzazione.
Poiché l’obiettivo finale della BCE è di immettere liquidità in Eurolandia per mille miliardi, sarà di prossima attuazione una terza misura, denominata QE (Quantitative Easing). Consiste nell’acquisto dei titoli di Stato, detenuti in gran quantità dalle banche, con una manovra che equivale a stampare moneta. Stati Uniti e Inghilterra, con FED e Bank of England, stanno superando la crisi proprio attraverso la stampa di nuova moneta. La BCE, che non può stamparne, cerca indirettamente di farlo con la misura del QE. Le banche quindi venderebbero i loro titoli di Stato – dai rendimenti oggi  talvolta negativi – alla BCE, che ne pagherebbe il prezzo e le relative cedole di interesse, iniettando così nuova liquidità da impiegare nell’economia reale. Però non è la stessa cosa acquistare titoli di Stato della Grecia, dell’Italia o della Germania. I gradi di rischio sono ben diversi, per cui l’intervento della BCE è subordinato ancora una volta a ottenere garanzie da possibili perdite. Per intervenire viene quindi chiesta la costituzione di un Fondo di Garanzia da parte dei Paesi più deboli dell’Unione, in quanto i più forti non hanno alcun interesse a mutualizzare il rischio credito. Ovviamente, più uno Stato è di rating basso, maggiore sarà il contributo assicurativo che dovrà versare al Fondo. Se questo non fosse possibile, la BCE farebbe acquistare i titoli di Stato direttamente dalle singole banche nazionali cosicché, sempre nel caso di default di uno Stato, le perdite potrebbero essere ripartite sui suoi diretti contribuenti, ovvero imprese e famiglie, sempre tramite nuove tasse o aumento del debito pubblico.
Insomma, nonostante si faccia parte di una Unione Europea, quando si parla di denaro, rischi e garanzie, lo spirito cooperativo svanisce. Non che i Paesi “ricchi” non abbiano più di qualche ragione, ma se non si trova la forza di stare insieme nei momenti difficili – che possono arrivare per tutti – le strade per uscire dalla crisi e dal credit crunch rischiano di essere impervie. Inoltre, osservando le tre misure, qualche considerazione viene spontanea. Primo: gli attori in campo sono molti (BCE, banche, Fondi di Garanzia nazionali ed europei) e tutti si sforzano di intervenire, ma sempre a fronte di una serie di garanzie che ormai sembrano una catena di Sant’Antonio. Secondo: i vincoli crescenti che la BCE impone alle banche, ovvero più accantonamenti e più patrimonio per fronteggiare i rischi, comportano di per sé una ulteriore restrizione del credito, quindi recessione. Avrebbero pertanto un effetto “prociclico” di peggiorare ulteriormente la congiuntura negativa. Terzo: imprese e famiglie, ovvero i potenziali beneficiari di tali misure, alla fine sono pur sempre anche la base della piramide delle garanzie, sono cioè esse il primo “garante” del sistema economico che si cerca di sostenere. In altre parole, si potrebbe dire che i meccanismi per dare liquidità alle imprese si fondano proprio sulla presenza di tante imprese che lavorano e per prime fanno da garanzia al sistema economico.
Infine, sempre in tema di garanzia come presupposto per erogare liquidità, è previsto che la garanzia di Stato nazionale venga allargata: un prossimo decreto stabilisce che le domande al Fondo potranno essere presentate, oltre che dalle banche e dai Confidi, anche da nuovi operatori, come ad esempio le assicurazioni, sperando che con nuovi operatori si possa fare di meglio. Avremo modo di  capire come tali soggetti vorranno e sapranno acquisire il nuovo ruolo. Prima di prendere questa decisione, però, una riflessione andava fatta per capire se davvero c’era bisogno di ulteriori intermediari per il credito, o se invece non era il caso di valorizzare quelli già esistenti. Vedi i vari Confidi, come Artigianfidi Vicenza, che in Italia operano da quasi cinquant’anni e che di esperienza e meriti ne hanno acquisiti nel dare garanzie alle imprese. Molti di questi Confidi, a partire dalla legge quadro del 2003, hanno affrontato un lungo processo evolutivo di crescita e fusioni, anche con la spinta e l’incentivo dello Stato, che ha comportato sforzi notevoli in termini di patrimonializzazione e riorganizzazione. Quindi, invece di cercare nuovi soggetti, forse bastava valorizzare i Confidi già esistenti, qualificati fra l’altro come Intermediari Finanziari, riconoscendo loro il ruolo di interlocutori prioritari per capacità e storia. E tramite essi fornire alle imprese quella forma di garanzia che, come abbiamo visto, si sta cercando di inventare con tante alchimie di finanza “creativa”.