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Carenza di personale nelle imprese artigiane del Veneto

Quasi un miliardo e mezzo (1 miliardo e 432 milioni per la precisione) per le imprese venete, 278 milioni per quelle vicentine.

A tanto è ammontata la perdita nel 2023, in termini di minor valore aggiunto delle imprese, a causa della carenza di competenze coerenti con i fabbisogni aziendali. Non si trovano lavoratori, nonostante la domanda ci sia. Con il Vicentino primo in regione per conto più salato, ma anche per soluzioni messe in pratica per cercare e attrarre personale. Se fino a qualche anno fa si parlava di quanto costava un lavoratore, oggi siamo al paradosso di quanto costa alle imprese il “non lavoratore”, anche in una prospettiva di crescita e sviluppo della stessa azienda.

L’ANALISI

Per il territorio berico, quei 278 milioni sono pari allo 0,98% del valore aggiunto provinciale, a fronte dello 0,95% regionale e 0,81% nazionale, come evidenziano i dati diffusi dall’Ufficio Studi Confartigianato regionale in merito al personale da inserire in azienda.
Dati che stimolano alcune considerazioni. La prima è che l’artigianato si dimostra ancora una volta un comparto pronto a investire nel personale, soprattutto in quelle competenze oggi determinanti per stare sui mercati o acquisirne di nuovi. In particolare, quindi, digitalizzazione, sostenibilità e internazionalizzazione sono gli ambiti in cui si stanno sviluppando nuove professionalità, nuovi business, e si consolidano quelli già attivi. La seconda considerazione è che vanno ripensati non solo i percorsi formativi che portano all’acquisizione di tali competenze, ma anche quelli di riqualificazione del personale già attivo in azienda, attraverso quella formazione continua che va sostenuta con azioni concrete, senza che necessariamente tutto questo sia sempre e solo a carico dell’azienda.
Le imprese, infatti, dal canto loro stanno facendo uno sforzo organizzativo, prima ancora che economico, mettendo in atto una serie di pratiche per attrarre e trattenere il personale. Anche in questo caso, Vicenza conquista il primo posto regionale con un 78,8% di imprese con 10 addetti e più (a fronte del 70,9% regionale e 66% nazionale) che mette in atto almeno una pratica per trattenere il personale. In particolare, il 47,2% ha offerto un incremento salariale ai candidati (41,3% la media regionale e 32,6% la media nazionale); il 37,1% ha introdotto maggior flessibilità negli orari di lavoro (32,9% media regionale; 28,5% media nazionale); il 27,6% ha favorito gradi crescenti di autonomia in relazione a specifiche competenze o mansioni (21,8% regionale; 19,4% nazionale); il 23,3% l’accesso a benefit aziendali (16,3% media regionale; 12,9% media nazionale). Le imprese vicentine, insomma, dimostrano di aver capito l’importanza del capitale umano, come pure quali sono le nuove esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici e le nuove discriminanti nella scelta di questo o quel posto di lavoro. Eppure, è il rammarico di molti, nonostante tutto ciò, ancora una volta il mondo dell’artigianato si trova in difficoltà nella ricerca del personale: nel luglio 2024 ben il 55,8% dei lavoratori era di difficile reperimento (53,3% dato Veneto, 48,4% dato Italia).
Il primato di Vicenza che emerge da questa analisi mostra un tessuto produttivo reattivo e vivace, che ha voglia di investire e crescere, ma che non può farlo senza il sostegno del mondo politico; cioè di quella che il professor Lucio Poma, ospite all’Assemblea Soci della Confartigianato provinciale, ha giustamente definito “politica industriale delle filiere”. Servono quindi misure che vadano nella direzione di un rilancio strategico delle piccole e medie imprese, ma che tengano anche conto di un trend demografico che, se non viene invertito con reali e concrete politiche della famiglia e della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, da qui a pochi anni rischia di gonfiare ulteriormente i dati del gap tra offerta e domanda occupazionale.