Le filiere venete: analisi, modelli produttivi e nuovi bisogni
Disporre di una mappatura delle filiere produttive dei sistemi economici territoriali risulta oggi quanto mai strategico per i nostri imprenditori.
Proprio per questo Confartigianato Veneto ha promosso un incontro su “Analisi di filiera, tra cambiamenti di modelli produttivi e nuovi bisogni” in collaborazione con il centro studi Nomisma.
Il punto di partenza è che in questa fase di forte vivacità economica e di importanti cambiamenti nelle dinamiche delle “catene del valore”, dopo gli shock pandemico ed energetico, occorre conoscere quanto meglio è possibile come si muovono le imprese nel territorio e verso l’esterno. Avere uno strumento di comprensione delle caratteristiche e delle dinamiche del tessuto produttivo è un importante supporto conoscitivo per la formulazione di politiche efficaci di stimolo allo sviluppo e per definire set di servizi innovativi, personalizzati e coerenti con le esigenze del tessuto imprenditoriale.
LO SCENARIO
L’analisi
Non si poteva non partire dal “cuore” della nostra manifattura: Meccanica, Moda e Sport System, e per farlo è stato scelto un partner di valenza nazionale, Nomisma appunto, che ha adottato un approccio in tre step: 9 interviste qualitative ad altrettante imprese “Champions”, una indagine campionaria su 150 imprese delle filiere e un lavoro di elaborazione del data base.
Nel complesso, le imprese delle tre filiere in Veneto rappresentano quasi il 22% di tutte le imprese artigiane regionali: 26.749 aziende e 98.127 addetti. Oltre la metà di queste si concentra nella trasformazione: vi appartiene il 51,1% delle imprese della Meccanica, il 61,9% della Moda, il 52,6% dello Sport System. Una loro caratteristica è quella di essere mediamente più grandi delle imprese artigiane italiane, in particolare nella trasformazione e nella lavorazione di materie prime.
“Dal mix di rilevazioni –spiega Lucio Poma, capo Economista Nomisma– ricaviamo la fotografia di un territorio in grande trasformazione con prospettive future positive ma che, per essere colte, hanno bisogno di nuove e adeguate figure professionali e di nuove imprese. In un contesto internazionale non facile, queste tre filiere non solo hanno tenuto, ma hanno fatto meglio del previsto anche con costi esagerati per energia e materie prime. Una forza che va indirizzata e incanalata. Ed è su questo che si gioca la partita delle associazioni come Confartigianato Imprese Veneto, che devono cimentarsi su ‘vision’ e politiche industriali. Ma per farlo si deve dare connotazione alle trasformazioni in atto nel territorio, leggere i cambiamenti e darne lettura per primi. Così si vince la sfida del mercato”.
“Dalle lunghe interviste fatte ai manager delle imprese ‘Champions’ ad esempio – prosegue Poma – emergono tre driver su cui puntare: un maggior controllo delle filiere e delle catene di approvvigionamento (valore del Made in Italy), necessità di aggregazioni e puntare sempre di più su legalità e sostenibilità. Emergono anche tre cambiamenti in atto. Il primo riguarda le carenze strutturali delle filiere analizzate, che scontano un dimensionamento aziendale ancora troppo piccolo che ostacola l’innovazione, la sostenibilità e gli investimenti; la carenza di lavoratori e di una loro formazione adeguata alle esigenze e il numero non sufficiente di imprese, che si riducono anche per la mancanza di ricambio generazionale. Il secondo riguarda la sempre più elevata specializzazione che viene richiesta tra i componenti la catena del valore. È finito il tempo delle delocalizzazioni alla ricerca del costo più basso, ma i partner locali devono essere pronti alle sfide ESG (Ambiente, Sociale, Governance), ad esempio. Terzo cambiamento, la relazione con il territorio che viene oggi valorizzato dal legame di ‘catena corta’ dovuta alle altissime qualità e velocità che vengono garantite dalle imprese locali. Una filiera così concentrata e in espansione che porta all’esigenza di mappare le competenze presenti, per capire quanta disponibilità produttiva ci sia da coinvolgere. Viene lamentata una scarsa conoscenza della filiera potenziale che va colmata”.
“Territorio come ambito ristretto ma di gran valore quindi – conclude Poma -, ma che non si limita, necessariamente, ai confini della regione. Ci sono aspetti, come ad esempio l’innovazione e la necessaria collaborazione con altre imprese e l’università, che per essere affrontati correttamente necessitano di una triangolazione almeno tra le tre regioni ‘del PIL’: Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Confartigianato può in questo ruolo tessere importanti relazioni e alleanze progettuali”.
L’istantanea del “super-fornitore”
Dall’osservazione su 150 imprese artigiane delle tre filiere, emerge una istantanea interessante dell’impresa “super fornitrice”: si interfaccia direttamente con oltre 15 imprese clienti (un panel notevolmente aumentato), che si collocano tra regione (50%) e Italia (41%). Sono apprezzate per la qualità di prodotti/servizi e il grado di specializzazione (che negli ultimi cinque anni sono stati migliorati, in risposta alla domanda divenuta più esigente ed evoluta). Esse investono anche su stimolo delle imprese ‘Champions’ di filiera. Gli investimenti delle imprese capo-filiera, in termini di digitalizzazione e di automazione, generano un’inevitabile spinta ad adeguarsi: il 57% afferma infatti di aver effettuato investimenti in innovazione e digitalizzazione, in particolare nell’acquisizione di macchinari, attrezzature e impianti (78%) e nella formazione del personale (67%). Stessa influenza anche nel campo della Sostenibilità. Il 39% delle imprese dichiara di aver effettuato investimenti finalizzati alla Sostenibilità negli ultimi cinque anni: tra queste, il 91% si è organizzato per la raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti, il 65% per l’installazione di macchinari efficienti che riducano il consumo energetico o per il contenimento dei consumi di acqua. Il 23% delle imprese ha ottenuto due o più tipologie di certificazioni, dotandosi in prevalenza di certificazioni di prodotto (che ne attestano la conformità a determinate specifiche tecniche) e del personale (che ne attestano i requisiti per operare con competenza in un determinato settore tecnico o organizzativo). C’è una buona/ottima solidità economica, anche se all’aumento del fatturato non è corrisposto un pari incremento della marginalità, principalmente a causa dell’aumento dei costi energetici e delle materie prime.
Da mettere in agenda…
Da questa prima indagine Confartigianato porta a casa una fitta agenda di cose da fare. Alcune pratiche, come promuovere occasioni di incontro e scambio continuativo tra gli imprenditori del territorio e continuare sulla strada della mappatura delle competenze delle imprese (come già fatto per l’Occhialeria e una parte della Moda); poi puntare fortemente sulla formazione per colmare il gap di figure specializzate, con riferimento sia alla manodopera professionale, onde evitare la perdita di competenze, e sia alle figure dirigenziali, che scontano una carenza di strumenti per relazionarsi con le imprese clienti; ancora, intensificare l’assistenza per le relazioni internazionali. Ma emergono anche necessità di ‘agenda politica’. Si dovrà cioè promuovere una campagna di sensibilizzazione e condivisione dei problemi che affliggono le filiere, in modo da sollecitare un dibattito finalizzato a individuare soluzioni condivise da tutti gli attori principali delle stesse, e dare impulso a un’operazione culturale per rimuovere l’immagine negativa che il lavoro in azienda ancora porta con sé, evidenziando le opportunità in termini di stabilità lavorativa ed economica, oltre che di appagamento professionale.