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RAPPORTO ARTIGIANATO 2006: LA RISORSA SONO LE IDEE

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12/06/2006RAPPORTO ARTIGIANATO 2006: LA RISORSA SONO LE IDEE_x000D_
Che il mondo, e di conseguenza l’economia, sia in una fase di radicale trasformazione non è un mistero per nessuno. Ma quali sono le conseguenze sul tessuto della nostra provincia e, in particolare, sulle piccole imprese? È da questo interrogativo che ha preso il via il dibattito sviluppatosi alla sede provinciale dell’Associazione Artigiani vicentina durante la recente presentazione del Rapporto Artigianato Vicentino 2006. La dettagliata analisi della situazione viene svolta ormai da cinque anni dall’Ufficio Studi dell’organizzazione di categoria, con la collaborazione scientifica dell’Università di Bologna attraverso il Centro di Ricerca Antares. Introdotti dal vicepresidente dell’Assoartigiani Agostino Bonomo e da Christian Caleari per l’Ufficio Studi, i lavori sono stati aperti proprio dalla relazione di Lorenzo Ciapetti del Centro Antares, attraverso la quale sono emersi i risultati dell’indagine tesa da un lato a "fotografare" la situazione dell’attuale congiuntura in rapporto agli anni precedenti, dall’altro a cogliere i principali fattori di mutamento che investono l’artigianato vicentino e veneto, ovvero i riflessi che esso sta manifestando nel nostro territorio.Quanto sta accadendo a livello internazionale, ha spiegato Ciapetti, provoca sulle nostre piccole aziende tre effetti: uno di "spiazzamento" rispetto alle logiche precedenti, vedi l’ingresso sulla scena di produttori come la Cina, uno di maggiore e conseguente "esposizione" alla competizione globale, il terzo di inevitabile "selezione": sopravvive chi sa adattarsi meglio ai cambiamenti.Tutto ciò dipende anche dal fatto che la struttura del Vicentino ha caratteristiche ben precise: una preponderanza del manifatturiero (il 35% su base regionale) e delle lavorazioni tradizionali (70%) rispetto a quelle ad alta tecnologia (30%), nonché una forte propensione all’export e un solido contributo al valore aggiunto provinciale (80%). Un quadro di sostanziale stabilità nel quale, però, la pressione esterna ha cominciato a farsi sentire provocando, pur nella complessiva tenuta manifestatasi anche rispetto ad altre aree del Veneto, alcuni scricchiolii in materia di occupazione, esportazioni e dello stesso valore aggiunto. Inoltre, la congiuntura negativa – per qualcuno vera e propria crisi – registratasi negli anni recenti non ha avuto un andamento generalizzato, ma si è diversificata da settore a settore, così come l’accenno di ripresa manifestatosi negli ultimi mesi: il rallentamento è stato avvertito sensibilmente, per esempio, nel tessile, nell’oro, nella ceramica, una media diminuzione l’ha conosciuta l’abbigliamento, una crescita la si è avvertita invece nei settori delle eccellenze agroalimentari, nel vasto comparto della comunicazione, nel mondo del legno, nella meccanica che ha saputo riorganizzarsi. Dunque, la trasformazione passa per dinamiche esterne all’impresa e per elementi al suo interno, sicché l’adattamento dell’attività varia a seconda della capacità dell’azienda di mantenersi competitiva, anche cercando quelle aggregazioni che possono supplire alle esigue dimensioni.Chiamato a fornire un proprio commento sulla situazione, Luca Paolazzi de "Il Sole 24 Ore" ha sottolineato come quella che stiamo attraversando sia una "crisi di crescita", cioè legata alla trasformazione in atto. Da questa constatazione il giornalista ha preso spunto per parlare di un cambiamento di proporzioni tali da rendere ormai inadeguato, secondo alcuni osservatori, non solo il "modello Nord-Est", ma quello dell’intero nostro continente. "Il baricentro della crescita – ha osservato Paolazzi – si è spostato in altre aree mondiali, dalla Cina all’India, di fatto rendendo l’Europa industrializzata marginale rispetto a un mercato che ora è più grande, più "lontano" di prima e chiede prodotti diversi. C’è poi da considerare l’effetto della pressione al ribasso dei listini e quindi dei margini di guadagno, complice la crescita portentosa dei nuovi Paesi a basso costo del lavoro, mentre aumenta il prezzo delle materie prime. A questi fattori internazionali, si sommano quelli nazionali: l’euro che non permette più come la lira di contare su un cambio favorevole o sulla svalutazione, un espediente utilizzato in passato anche per coprire errori di politica economica; un fisco più presente e meno tollerante; l’affollamento, tanto di prodotti che di produttori, che poi si riversa sulle nostre intasate infrastrutture; il sistema formativo che mostra lacune e carenze; il non sempre facile ricambio generazionale alla guida delle imprese; il peso eccessivo del manifatturiero nelle nostre produzioni, che altrove si sta sempre più riducendo". Tutti questi vincoli, ha proseguito Paolazzi citando anche i recenti dati di Banca d’Italia, Istat e Unioncamere, si traducono a livello nazionale in un effetto di scarsa produttività: ovvero lavoriamo molto ma guadagniamo poco, tanto nella piccola che nella grande impresa. segno che il problema non è legato alle dimensioni ma all’investimento di capitali. In pratica, le imprese in grado di sfruttare positivamente il cambiamento e di ottenere buoni margini di produttività sono quelle che destinano più capitale per addetto, che esportano di più e devono essere perciò più efficienti, che investono maggiori risorse nei servizi (ricerca, tecnologia) e nell’ideazione dei prodotti più che nella realizzazione "materiale" del prodotto (cosa che può avvenire ormai ovunque con gli stessi risultati), che al loro interno hanno figure e competenze che non si sovrappongono, ma che sono ben organizzate."Il punto di forza di Vicenza – ha concluso Paolazzi – è però quello di essere una provincia molto diversificata produttivamente, con aziende impegnate in vari settori. Certo, sopravvivere alla concorrenza imporrà di sfoltire il manifatturiero, costringerà i subfornitori a presentarsi sul mercato con prodotti propri, ma quelli che ce la faranno diventeranno dei "casi" interessanti. E non è nemmeno il caso di spaventarsi, ma di affrontare la sfida: questa terra può sempre contare su fattori storici come la cultura del lavoro, la propria versatilità e flessibilità. Puntare più sulla qualità che non sulla quantità delle produzioni potrà consentire di tenere il passo e di trarre nuova linfa"."I momenti di transizione portano a una scomposizione e ricomposizione all’interno dei distretti e delle filiere, con la conseguenza che alcune imprese scompaiono, altre sanno riposizionarsi. La crisi, le trasformazioni, impongono un salto di qualità dove la capacità di migliorarsi e di "leggere" il cambiamento fa la differenza – ha aggiunto Enrico Quintavalle dell’Ufficio Studi nazionale di Confartigianato-. Fino a oggi la grande impresa ha avuto la gestione delle relazione di mercato e dei cosiddetti elementi "intangibili": è il momento che questi diventino le carte vincenti anche delle imprese artigiane. Saper creare – e mantenere – relazioni con il mercato e le altre aziende è fondamentale per affacciarsi sui nuovi mercati, è un "capitale sociale" che, se magari non paga nell’immediato, rappresenta un investimento a lungo andare irrinunciabile. Altrettanto importante, poi, è comprendere che la condivisione con gli altri del proprio patrimonio di relazioni, insomma il "far rete", non è un vuoto slogan, ma la forza per capitalizzare tutti insieme i risultati, per ridurre i rischi individuali. E un altro elemento di supporto importante è quello rappresentato dalle Associazioni Artigiane, che possono indicare suggerimenti, contribuire a nuove conoscenze, ampliare gli orizzonti, aiutare ad alleviare i pesi e i costi della burocrazia, dell’energia, dei contenziosi. Ciò che serve quindi è una nuova cultura, anche con la sincera ammissione dei propri limiti individuali. A proposito, fa piacere constatare come i laureati – siano essi titolari, soci o collaboratori – si avvicinino sempre più al mondo dell’impresa artigiana, riconoscendo in essa un ambiente dinamico dove potersi realizzare, dove portare innovazione". "Concludendo, l’impresa deve pensare – ha suggerito Quintavalle – a una trasformazione da giocare più in attacco che non in difesa e puntare sul patrimonio personale, che rappresenta il principale veicolo per superare i momenti difficili. Sono questi alcuni di quei valori "intangibili" che un’impresa deve saper esprimere e ai quali, giustamente, l’Assoartigiani di Vicenza aveva già dedicato il proprio Rapporto 2004, riconoscendone il peso. Qualche segnale c’è: le imprese vicentine, oltre al tradizionale partner tedesco, hanno cominciato a vendere alla Cina, all’India, alla Russia".Al segretario generale della stessa Assoartigiani, Carmelo Rigobello, è spettato il compito di sintetizzare l’analisi dei cambiamenti in atto nel mondo dell’artigianato vicentino: "Il merito dei relatori – ha detto – è stato quello di aver illustrato non solo e non tanto gli elementi esterni della trasformazione ma anche, e soprattutto, quelli interni richiesti all’azienda. Ora, visti e commentati i numeri del Rapporto 2006, si tratta di saperli misurare e di trasformarli in strategie, in interventi. Il momento dell’inerzia è finito per sempre. Ora, a quanto pare, la ripresa c’è: ebbene, non perdiamola. Anche come mondo di piccoli imprenditori cerchiamo soluzioni condivise per assecondare il cambiamento, facendo leva su quel grande valore che sono le idee, la conoscenza".