SENATO DELLA REPUBBLICA XVII LEGISLATURA. CONSULTAZIONE PUBBLICA DELLA COMMISSIONE INDUSTRIA SENATO SUL DISEGNO DI LEGGE S1061 “ISTITUZIONE DEL MARCHIO “ITALIAN QUALITY” PER IL RILANCIO DEL COMMERCIO ESTERO E LA TUTELA DEI PRODOTTI ITALIANI
La Commissione industria, commercio, turismo del Senato il 28 gennaio scorso, nel procedere all’esame del disegno di legge n. 1061 (marchio “Italian Quality), presentato dalla senatrice Valeria Fedeli, ha deliberato di avviare una sorta di “pubblica consultazione” invitando tutti i soggetti interessati dal provvedimento ad esprimere le proprie valutazioni e proposte. Confartigianato nazionale ha predisposto un documento del tutto condivisibile che Confartigianato Imprese Veneto ha ritenuto di inviare alla Commissione al fine di rafforzare la posizione auspicando che venga tenuto in debita considerazione nel corso dei lavori della Commissione.
Confartigianato Imprese ha da anni intrapreso una politica di sostegno delle produzioni italiane, anche nell’ottica di offrire al consumatore garanzie sulla qualità e l’origine dei prodotti. Confartigianato Imprese è quindi favorevole ad iniziative che possano valorizzare le produzioni italiane, sia sui mercati esteri sia su quello nazionale. Si condivide, quindi, quanto affermato nella relazione introduttiva al DDL AS 1061 “Istituzione del marchio «Italian Quality» con riferimento alla valorizzazione delle produzioni italiane, alla valorizzazione delle loro qualità riconosciuta a livello mondiale, e alla necessità di fornire al consumatore gli strumenti per effettuare acquisti in maniera consapevole. Si osserva però un evidente scollamento tra le premesse al disegno di legge, che come detto, sono a nostro parere in gran parte condivisibili, e l’articolato del disegno che non mantiene queste enunciazioni. In premessa ,occorre chiarire che origine e qualità non sono e non possono essere sinonimi, né avere significati sovrapponibili. Infatti i concetti di “qualità” ed “origine” non sono collegati fra loro se non nell’immaginario comune, che vede nel prodotto italiano, il Made in Italy, la rappresentazione della nostra cultura, delle bellezze naturali e artistiche del nostro Paese, del nostro modo di vivere e che riassume tutto ciò che il bello e fatto bene può significare. Quindi è così che Made in Italy, ancorché indicazione di origine, diventa indicazione di qualità. Entrando nel merito, troviamo difficile comprendere come l’istituzione del marchio “Italian Quality” possa servire a fornire “la protezione dei consumatori attraverso la piena e corretta informazione in ordine al ciclo produttivo delle merci” o come possa favorire la presenza delle produzioni italiane sui mercati esteri, specie in considerazione del fatto che nel mondo vengono sempre più richiesti “veri prodotti italiani”, cioè eseguiti interamente in Italia. Pertanto risulta, anche ai fini soltanto promozionali, insufficiente il livello di protezione previsto dal DDL, in quanto l’aggiungere la previsione che oltre all’ultima trasformazione sostanziale sia eseguita in Italia anche una ulteriore “qualunque” lavorazione, sicuramente non soddisfa la richiesta dei mercati di avere “veri” prodotti italiani, né fornisce informazione corretta in merito al ciclo produttivo delle merci. Per quanto riguarda l’origine italiana, la piena e corretta informazione sul ciclo produttivo sarebbe possibile infatti solo ove fossero tracciate come eseguite in Italia tutte le fasi di produzione. Per quanto sopra esposto in merito all’origine delle merci, troviamo poi che ingeneri ulteriore confusione la previsione che il marchio sia volto “all’identificazione dei prodotti italiani che presentano caratteristiche di eccellenza” definendo appunto prodotti italiani quelli che lo sono unicamente per avere subito in Italia una trasformazione, anche estremamente marginale e non qualificante del ciclo produttivo, oltre a quella richiesta dal codice doganale dell’Unione. Si ricorda che per dare valore alle produzioni realmente italiane, da tempo è stata emanata la Legge 166/2009 che stabilisce chiaramente che chi vuole indicare un prodotto come interamente realizzato in Italia, può farlo unicamente se tutte le fasi necessarie alla sua produzione sono state realizzate in Italia, cioè da una filiera produttiva interamente stabilizzata in Italia. Quindi, in presenza di questa norma, se si vuole incentivare, o promuovere, o qualificare ancora di più il posizionamento delle merci sui mercati, si può pensare a uno strumento in grado di incentivare il ricorso a sistemi di tracciabilità e rintracciabilità delle produzioni, che possano anche esaltare la qualità delle lavorazioni italiane oltre che certificare l’origine delle lavorazioni stesse. La qualità può infatti essere maggiormente dimostrata tramite un sistema di tracciabilità. In questo senso va ricordato anche il lavoro che sta compiendo UNIONFILIERE, con l’istituzione di un sistema di tracciabilità volontaria. La tracciabilità dei prodotti costituisce oggi, infatti, il più importante strumento di tutela del consumatore, oltre a salvaguardare migliaia di posti di lavoro che le lavorazioni a monte della filiera ancora possono offrire se adeguatamente valorizzate attraverso un sistema che le renda riconoscibili. Inoltre il Disegno di Legge in esame prevede l’istituzione di un albo di quanti abilitati ad utilizzare il marchio per uno o più prodotti. Riteniamo che anche questa previsione possa ingenerare confusione sia nei consumatori finali, sia negli operatori, perché un produttore, in possesso del marchio, ed inserito in tale elenco, può avere più linee produttive, ma non tutte dello stesso livello qualitativo, mentre il mero inserimento in elenco potrebbe far intendere che i suoi prodotti siano tutti rispondenti ai requisiti previsti dal marchio. Da non sottovalutare poi che a livello giurisprudenziale sussistono forti dubbi sul fatto che una disciplina quale quella delineata nel disegno di legge in esame possa superare indenne il vaglio della Commissione europea, cui la stessa dovrà essere notificata ai sensi della direttiva 98/34/CE. Secondo la posizione della Commissione e l’orientamento consolidato della Corte di Giustizia dell’Unione europea, l’adozione di un marchio di proprietà dello Stato legato all’origine geografica si pone in contrasto con il diritto comunitario, in quanto comporta una violazione delle regole di concorrenza e del principio della libera circolazione delle merci, favorendo la commercializzazione delle merci di origine nazionale, a scapito di quelle importate. Il marchio di qualità deve infatti prescindere dall’origine geografica e riferirsi invece alle caratteristiche intrinseche del prodotto. In ragione delle considerazioni espresse, pertanto, si ritiene auspicabile una revisione complessiva dell’impianto che, preservandone il lodevole intento della valorizzazione delle produzioni nazionali, colga effettivamente gli aspetti qualificanti per i quali il consumatore preferisce sui mercati il “vero” made in italy, ovvero l’effettiva ed integrale realizzazione del prodotto nel nostro Paese, potenziando il dispositivo della legge 166/2009 attraverso un impianto promozionale adeguato, quale potrebbe essere l’incentivazione al ricorso volontario dei produttori a libere indicazioni supportate da sistemi di rintracciabilità che ne qualifichino e ne certifichino la provenienza delle lavorazioni, mettendo in campo risorse per sostenere l’adozione dei sistemi di tracciabilità e sostenendo l’internazionalizzazione delle imprese che se ne avvalgono.