TUTTI GRATI ALL’ARTIGIANO (MA CHI SI OCCUPA DEL SUO FUTURO?)
Celebrità dopo che per anni «usare le mani» è stato denigratorio di Cristiano Seganfreddo
Articolo apparso su il Corriere del Veneto
Se fossimo in Borsa sarebbe il titolo dell’anno. Tutti a comprarlo, nei discorsi come nei programmi. Il titolo artigiano continua a dare ottimi risultati anche sul borsino italiano. Malgrado deflazioni, recessioni, pil in calo, piovosità e umidità, sembra che l’immaginario del nuovo artigiano abbia superato anche le resistenza dei più radical chic e dei meno nostalgici. Un trend internazionale ha portato la «misteriosa» figura dell’artigiano all’onore delle cronache come uno dei grandi patrimoni nazionali. Dopo le riscoperte enogastronomiche e le non ancora scoperte paesaggistiche artistiche, è il tempo delle mani. Articoli, libri, facce in copertina, mani in televisione. Come sempre, o spesso, gli stimoli e le mode vengono da fuori. Eppoi, con calma, arrivano anche da noi. Ci volevano gli americani a chiamarli Makers e a farne una mitologia. II mitico, per l’appunto Mit di Boston, l’ha presa molto seriamente con corsi e studi che sono arrivati anche nell’avamposto del futuro in Italia che è H-Farm. Perché riconoscono che qui da noi, in mezzo a quelle zone industrialartigiane, grigie, si nasconde un patrimonio incredibile di conoscenze e di saperi. L’artigiano, uscito dalla bottega rinascimentale del centro storico, oggi si applica a carbonio come a pelli, alla meccanica di precisione come alle stanghette degli occhiali, all’aerospaziale o ai tessuti. Tutta roba fisica. Non 3D ma proprio tridimensionale. Di quelle cose, raccontava una volta un artigiano, che quando cascano sui piedi ti fanno male. Progetti non riproducibili con un’app o con la stringa su un pc o iPad. L’altro punto dove l’artigiano ha bucato è il fashion e di conseguenza il grande pubblico. Nella catena del valore l’artigiano è sempre stato fondamentale ma ultimo nella visibilità. Brand, marchio e ancora marchio. Oggi i grandi brand del lusso e non solo, francesi in primis, hanno scomodato le varie superstar patinate per metter in pubblicità le mani preziose di un artigiano come se fosse un modello o un vip hollywoodiano. Per il lancio di una nuova borsa si porta a Shanghai il maestro artigiano e lo si mette in vetrina. Se ti devo vendere un divano, dico che è fatto da artigiani, come se ti servo un tarallo. E oggi vogliamo sempre più prodotti veri, non industriali, fatti con il «cuore». Abbiamo passato un’epoca in cui lavorare con le mani sembrava denigratorio e non auspicabile per nostro figlio, a favore dei proverbiali «colletti bianchi» tecnocrati che non esistono nemmeno più. Era una scelta strategica del Paese. Oggi si è invertita la rotta. Ma, con un sacco di ma. L’artigianato non e dato per natura. Non abbiamo giacimenti petroliferi. Ne abbiamo tanti, fortunatamente, ma non abbiamo adeguate risposte per sviluppare e potenziare questo settore centrale nell’economia e nella società. Tanti artigiani li perdiamo giornalmente, incapaci di leggere nei loro bilanci il potenziale, non solo economico ma anche sociale. Mentre le nuove aziende, start-up, iniziative, vengono viste più come materia da convegno che come capacità reali quando potrebbero essere, invece, il punto di connessione tra secondario e terziario, tra servizi e artigiani. Tecnologia e artigianato. Le mode vanno e vengono. Questa tardiva ma eclatante riconoscenza dell’artigiano si porta anche una grande responsabilità. Il tema oggi è renderlo il motore di un nuovo sviluppo e non semplicemente un’azione estetica, retorica di riconoscimento post mortem. Queste pagine hanno lanciato il fortunatissimo «Futuro Artigiano» di Stefano Miceli’ con un dorso e un incontro dedicato alle mani. II prof di Venezia è diventato Cornpasso d’Oro 2014 e un guru grazie a quel libro che ci ha resi consapevoli della portata strategica fondamentale dell’artigiano. Un uovo di colombo. Certo. Ma pieno di valenze. Dalle nuove possibilità che il mondo artigiano offre a un giovane, al grado di seduzione che ha nel mondo. Ma ci vogliono investimenti seri, in formazione e distribuzione, altrimenti diventa un gioco da animali in via di estinzione. È sempre solo questione del punto di vista. Un aneddoto racconta che Ettore Sottsass, instancabile inventore e designer, in visita alla Nasa disse «questo è un posto pieno di artigiani!». Anche l’alta tecnologia è questione di testa e di mani. La nostra Ai, artificial intelligence, è un’intelligenza artigiana che fonde mani e testa ma è interessante per il mondo, solo se contemporanea.