VERONA E VICENZA INSIEME NELL’ARTE CON “VERSO MONET”
È Verona, questa volta, a proporre per prima un importante appuntamento con l’arte al Palazzo Gran Guardia, con una mostra aperta il 26 ottobre intitolata “Verso Monet”. Successivamente la stessa collezione sarà esposta nella Basilica Palladiana, a Vicenza, dal 22 febbraio al 4 maggio 2014.
Si conferma così un binomio di successo, Verona-Vicenza, che nel 2012, ha portato grandi opportunità alle due città, grazie ai circa quattrocentomila visitatori della mostra “Da Raffaello a Picasso”.
Marco Goldin , l’ideatore, è riuscito questa volta a mettere insieme i capolavori del paesaggio dal Seicento al Novecento.
A proposito di questa sua nuova proposta, il curatore afferma: «È una mostra che viene alla fine di due anni di lavoro entusiasmanti, attorno a un’idea che mi affascina da sempre, quella di ricostruire la mia storia del paesaggio in pittura. Anche mescolando, e mettendo poi insieme, esperienze magari geograficamente lontane ma vicine per lingua e sentimento».
La mostra prende avvio da un’opera di Annibale Carracci e del Domenichino per sottolineare come in pittura, tra fine Cinquecento e inizio Seicento, la natura cominci ad assumere un ruolo autonomo, non più limitata a puro fondale scenografico.
Nella prima sezione, dedicata al Seicento, divisa in due settori, il visitatore è invitato a riflettere sul concetto di falso e vero nella natura, tra Poussin, Lorrain e Salvator Rosa da un lato ( nella direzione, appunto, del nuovo paesaggio di Carracci e Domenichino) e i grandi olandesi dall’altro (soprattutto Jacob van Ruisdael e il suo studio dal vero). Una integrazione importante è riservata al disegno, per esempio di Rembrandt, per sottolineare il ruolo fondamentale del paesaggio, legato, appunto, alla verità del racconto.
La seconda sezione, quella sul Settecento, propone numerose e bellissime vedute dei veneziani, da Canaletto a Bellotto e a Guardi, che insistono ancora sul rapporto, come in Olanda nel secolo precedente, tra arte, scienza ed empirismo. Venezia giganteggia qui in tutto il suo splendore.
Segue l’affascinate sequenza di sale sull’Ottocento, il cosiddetto secolo della natura: dapprima l’ambito romantico con i sublimi Friedrich e Turner e poi la mediazione con il realismo attraverso Constable. Nella grande sezione sul realismo, le combinazioni con date identiche, per esempio, tra i pittori americani e scandinavi, e poi ovviamente Corot, Courbet e Millet in Francia, i loro rapporti con i pittori dell’Est Europa, segnano le molte strade della descrizione della realtà a metà secolo.
Infine, l’epocale novità impressionista, dapprima con i quadri degli anni Sessanta e inizio Settanta (Pissarro, Sisley, Caillebotte, Manet), poi quelli degli anni Ottanta. «Su questo decennio insisto molto nel percorso espositivo», chiosa Goldin, illustrandolo con i famosi quadri di Cézanne, Renoir, Van Gogh, Gauguin, Degas, per indicare la caduta del dogma del plein-air e l’inizio della modernità, quando il paesaggio diventa anche una proiezione della mente.
L’esposizione si chiude con le 25 opere di Monet, vera e propria mostra nella mostra, per dire che dalla tradizione, legata alla realtà ( l’Olanda seicentesca, la foresta di Fontainebleau), con lui si passa alla dissoluzione della materia attraverso l’abbandono del plein-air totale.
Monet, che aveva teorizzato negli anni Sessanta e Settanta del XIX secolo la necessità assoluta di stare davanti e in mezzo alla natura per dipingerla, alla fine della sua vita con le Cattedrali e le Ninfee (presenti nella mostra) ritorna a una contaminazione tra vero della natura e artificio.